Maldini: “Il Milan la mia seconda pelle. Mai pensato di lasciarlo”
L’ex capitano del Milan si racconta fra i tanti ricordi. E domani compirà 50 anni
Cinquanta anni, sempre un bel traguardo. A tagliarlo domani sarà Paolo Maldini, con la sua vita fatta di record, imprese, vittorie e sconfitte: “Un ex atleta, un marito, un papà e un uomo felice” Come si definisce nell’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport”. Un uomo che di ricordi ne ha tanti, come la stagione 2002-2003: “La migliore come forza, tecnica e testa”. O come il suo miglior Milan: “Il primo di Sacchi, il 92-93 di Capello e il 2002-2003 di Ancelotti appunto. C’era tantissima qualità, anche in panchina”. Quella rossonera, in fondo, è la sua seconda pelle: “Ho avuto solo due maglie – continua – quella rossonera e quella azzurra. E’ la scelta non la fai da bambino, ma poco alla volta, comprendendo magari che quella squadra lì ha i tuoi stessi obiettivi. Non ho mai preso in considerazione l’idea di lasciare il Milan”.
L’esordio in A la gioia più grande: “Sul pullman verso lo stadio mi chiedevo: ‘Ma io qui ci posso stare?’. Non avrei mai pensato di entrare, poi accadde”. Tanti i maestri da ringraziare: “Capello in Primavera, Liedholm e poi Sacchi, che ha stravolto tutto. Mi sono goduto anche Zaccheroni e la difesa a tre. Io ero contrario, ma lui fu bravo a spiegarmi cosa voleva”. Le fondamenta di tutto San Siro ovviamente: “Un teatro, un luogo sacro. La mia seconda casa, vicina alla prima”. Anche se i tifosi del Milan, adesso, non sono certo fra i più sereni: “Sono preoccupato anche io – ammette Maldini – non credo che la Uefa ce l’abbia con il Milan, anzi. Credo vorrebbe un Milan forte. Poi vedremo gli sviluppi”.
Tante anche le critiche ricevute, come quelle post Mondiale 2002: “Lì siamo andati oltre. Mi chiesero addirittura se giocavo perché ero raccomandato…”. Tanti i talenti di quell’Italia. Oggi, forse, il discorso è un po’ diverso: “Il Dio del pallone ha presentato il conto di quattro anni di errori e ci ha fatto saltare un giro. La Federazione non aveva messo il calcio al centro del progetto. Il più grande problema del nostro calcio? La gestione. Non abbiamo ancora un Presidente. Abete lo stimo, è una bravissima persona, ma siamo sempre lì… la gestione dell’eliminazione post Svezia è stata ridicola”.
Il resto dell’intervista in edicola con la Gazzetta dello Sport