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Madrid, Lione, i “cantucci” di Totti e le 11 vittorie: Spalletti 2.0, il ritorno di Lucianone

Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? E invece no, sotto col bis. Spalletti 2.0. Barbetta, sorrisi e una “pelata” inconfondibile. In mente, chissà, quel “Grazie Roma” tanto amato. “Bella Lucianone!”. Cori&sospiri in casa Roma, storia di un ritorno. Sognato, voluto, arrivato. Questa notte l’arrivo a Miami per conoscere Pallotta. Giovedì il primo allenamento coi compagni. Tuta, fischietto e reunion storica con due vecchi amici: capitan Totti e Danielino De Rossi. Tutti gli altri – tra ritiri e partenze – non ci sono più. Torna nella ‘sua’ Trigoria. Quella in cui ogni anno, per Natale, faceva un regalo ad ogni dipendente. Adieu Garcia, che Roma sarà quella di Spalletti?

Mistero da svelare ovviamente. Con una sola certezza: spazio a quel 4-2-3-1 che fece innamorare i tifosi giallorossi. Quattro anni nella capitale, indimenticabili. Tre trofei (due Coppe Italia e una Supercoppa), altrettanti secondi posti, i duelli con l’Inter “manciniano” (assonanze) e qualche stendardo ben piazzato nel cuore dell’Europa: da Lione a Madrid, dal doppio passo di Mancini all’urlo di Vucinic.

Fotogrammi della “banda” Spalletti. Altri tempi però, altra Roma. Presidenza italiana e i Sensi al comando (Franco&Rossella). Taddei tuttofare e Perrotta trequartista. In difesa? Mexes-Juan-Panucci-Tonetto e “s’abbracciamo”. Il buon Cicinho sulla destra a sgambettare. Poi un’intuizione: Totti centravanti! “Seee, ma che davero?”.

Ma Spalletti reinventa il capitano (con Capello aveva soltanto accarezzato il ruolo). Anzi, lo glorifica: “Avvicinare Totti all’area di rigore è come mettere la volpe vicina al pollaio: trova sempre lo spazio per creare terrore”. Il 18 dicembre 2005 – contro la Samp a Marassi – lì davanti mancano tutti. Lucianone chiama Francesco e lo “schiaffa” da punta. Prologo del nuovo Totti. Vanigli permettendo, l’anno successivo vincerà la Scarpa d’Oro davanti a Ruud Van Nistelrooj. E i gol nell’era Spalletti saranno 94.

Ottimo rapporto tra i due, uniti dalla semplicità e da quel pizzico di sfrontatezza. Senza contare il “capoccione” un po’ testardo. Tant’è che il “Pupone” dichiarò che gli sarebbe piaciuto chiudere la carriera al suo fianco. Ipse dixit, sarà così. “Francesco? Quando calcia trova sempre i cantucci”. Ovvero gli angoli, gli spazi. Spalletti risponde così. Sviolinate di toscano in un ambiente romanesco. Ora dovrà gestirlo, gli anni passano.

Non solo Totti però, anche il miglior De Rossi, i ritmi di Pizarro, le 11 vittorie consecutive (l’ultima nel derby), il record temporaneo (poi battuto dall’Inter). Più uno scudetto sfiorato al fotofinish nel 2008. Campione d’Italia per un’ora, poi entra Ibra e la risolve: titolo all’Inter. Un rimpianto. Un po’ come il 7-1 ai quarti col Manchester e l’uscita ai rigori contro l’Arsenal (ah, Tonetto). Champions in agrodolce, gioie e dolori.

Nel 2009 l’addio amaro dopo una sconfitta con la Juventus. “Il tacco, la punta, il numero…”. Show in conferenza, dimissioni e tanti saluti: “Mi porterò dentro l’inno della Roma, lo canterò sempre”. Prima gli allenamenti di Ferguson a Manchester, poi un po’ di riposo nella sua “Rimessa”. Infine l’arrivo allo Zenit, cinque anni da Zar. Ora il bis giallorosso. Stacco, titoli di coda. “Grazie Roma” è già partito.