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Livorno, si vola a ritmo di… Despacito! Il direttore Facci: “Pian piano verso l’obiettivo. Questa squadra incarna i valori di un popolo intero”

Despacito…Livorno! Coro per antonomasia (in un remix d’amore e orgoglio per la maglia amaranto), ma soprattutto motto granitico e tralatizio. Lentamente Livorno, Lentamente. Lo canterebbero perfino i turisti nel turbinio d’emozioni che il mare e una soffice brezza primaverile (almeno a ricordi del sottoscritto) riescono a regalare nelle giornate di sole. Un’atmosfera panica. Rimirando lo sguardo per viale Italia ti senti davvero parte di un tutto armonioso, dal quale non vorresti più uscire. Una sublimazione dell’animo che Lentamente ti pervade di una eterea serenità. Ti siedi Lentamente sulla terrazza ad osservare le onde del mare, il porto in lontananza, la gente che passa, un po’ bercia con quel vigoroso accento toscano. Una giornata a Livorno speri che passi il più Lentamente possibile, vorresti durasse per sempre.

Despacito…Livorno (calcio)! Sì, ma solo nel “regno immaginifico della metafisica”. Perché, in campo, corrono veloci gli undici amaranto. Primi in classifica nel Girone A di Serie C con dieci punti di vantaggio sul Siena e undici sui rivali di sempre del Pisa. 43 punti in 18 giornate, una sola (maledetta, asseriscono turbati in città) sconfitta nel derby. Miglior attacco, 39 gol! Lentamente!!? “Molto, molto lentamente direi. Passo dopo passo verso l’obiettivo”. Un pioniere del razionalismo il direttore sportivo Mauro Facci, il cui animus ben si presta al file-rouge della nostra trattazione. Una persona molto tranquilla, pacata. Gentile e moderata. Non si esalta nelle vittorie, non si dispera nelle sconfitte. Capace di mantenere una linearità quale virtù rara in questi tempi moderni, tutti incentrati su spettacolarizzazione, apparenza ed esibizionismo.

“Ammetto di essere calmo e riflessivo, ma anche molto, molto tenace”. Un livornese (già) acquisito. Gente vera, tosta, costante. “Ogni giorno bisogna dare un qualcosa in più. Sembra dai media che siamo già in B, ma non è affatto così. Nulla è mai scontato nella vita. Tranne una cosa, il lavoro quale mezzo per raggiungere grandi risultati”. Una verità sacrosanta e tautologica. In un mondo (a)valoriale, nel quale ci si illude di poter conseguire grandi risultati con il minimo sforzo (i modelli televisivi, ahimè, non aiutano tra reality e quel deprecabile usus ‘chi urla di più, urla due volte’).

Il lavoro quale quintessenza di una città: Livorno. Città di mare, portuale. Dove ci si sveglia presto alla mattina e si torna tardi alla sera. Il lavoro quale quintessenza di Mauro Facci e di una squadra intera… I nostri tifosi ci si identificano molto. Perché siamo testardi e non molliamo mai. Anzi, nelle difficoltà tiriamo fuori il meglio. Non a caso ci hanno definito un diesel…”. Lentamente, giust’appunto.

Il livornese è forte, è caparbio, non si tira mai indietro. L’ho notato nella triste tragedia che ha colpito la città. Livorno ha dimostrato una forza d’animo incredibile, una capacità di rimboccarsi le maniche unica al mondo”. Perché, Lentamente, Livorno ti permea corpo e mente. Ti contagia, ti assimila, ti fagocita in quella forma mentis unica nel suo genere: ‘un si molla niente! Livorno è tradizione, è attaccamento viscerale e passionale alle proprie tradizioni… “E alla squadra di calcio, la si vive tutti i giorni. E’ una fede, un amore. Mi ha colpito davvero molto questa cosa. Spero – racconta Facci ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – che tutti insieme riusciremo a regalare gioie importanti ai nostri tifosi, se le meritano”.

Una gioia simbiotica. Il Livorno per i tifosi, il Livorno per Mauro Facci. Un segno, un contemperamento, un senso – forse – di quella sana giustizia, verso la quale il direttore era in forte credito dopo il tristissimo de profundis di Latina: “E’ una ferita ancora aperta e probabilmente lo sarà per sempre. Non c’è cosa più triste di veder fallire la squadra della tua città ed esser inerme, non poter far nulla. Mi ha fatto male tanto e mi fa male tutt’ora quando vedo che la squadra è finita in Serie D. E’ stata un’annata sciagurata, è successo di tutto. Ricordo come se fosse ieri il presidente che riunisce noi dirigenti e la squadra per dirci, con le lacrime agli occhi, che avrebbe lasciato. Avrà fatto i suoi errori, ma lo amava davvero il Latina. E per colpire lui hanno colpito, con un’istanza di fallimento che ti lascia impotente, una città intera”. Ecco Livorno, “una chiamata così bella da lasciar da parte quel Lentamente… Il giorno dopo sono venuto qui e ho firmato. Questa città è uno spettacolo. Quando, in occasione della presentazione della squadra, abbiamo fatto il giro dei Canali in battello, sono rimasto davvero estasiato. E poi io amo il mare…”.

Ogni tanto qualche passeggiata per il Viale con la sua famiglia, giusto per staccare un po’. Lavoro e famiglia, famiglia e lavoro. Nella costanza e nella forza d’animo incredibile di mantenersi sempre sul filo di quell’equilibrio perfetto, quale gradiente di un modo di fare educato e nobile (nel senso più pieno che a locuzione siffatta si possa addivenire). Molto, molto razionale. “Senza voli pindarici, non servono. Seguendo quello che dice mister Sottil e con quella sana virtù che è la calma”.

Perché, in fondo, vincere un campionato è come scalare una montagna. Fintantoché non sei arrivato in cima… Lasciando da parte quella deprecabile oggettistica del disincanto, del grigiore e della disillusione (pc, tablet, mappe interattive, digitali, topografiche…) non puoi sapere quanto manca e fra quanto arriverai. Ed io per il mio Livorno in Serie B la scalerei una montagna. Ma molto lentamente…”. Nell’iper velocità quotidiana, impostaci dalla vita moderna, avremmo forse tutti un qualcosa da imparare dal despacito livornese!