L’incredibile storia di Shahbaz, sopravvissuto ad un rapimento di cinque anni grazie al tifo per il Manchester United
Il tifo può salvarti la vita. Se glielo chiederete, ve lo giurerà Shahbaz Taseer. E dopo aver sentito la sua storia, comincerete a crederci anche senza bisogno di alcun giuramento. La storia di Shahbaz ha a che fare con tenacia e amore, resistenza e forza interiore. Resilienza. Dentro tutto questo, il tifo per il Manchester United è stato una via d’uscita, una porta sul mondo, quando lo stesso mondo sembrava essere finito la mattina del 26 agosto 2011. Shahbaz, figlio del governatore (ucciso) della regione di Punjab, tra India e Pakistan, viene rapito da un gruppo di militanti islamici (l’I.M.U. – Islamic Movement of Uzbekistan). Il riscatto richiesto non è in denaro, ma in prigionieri (“fratelli musulmani”) dei quali il gruppo richiede la liberazione. È l’inizio del calvario di Shahbaz, durato per ben 5 anni.
Lontano migliaia di chilometri, nei giorni del rapimento, a Manchester sedeva in panchina ancora Sir Alex Ferguson. Ma Shahbaz nel frattempo comincia ad essere picchiato, seviziato e torturato dai suoi aguzzini. È l’inizio di un incubo dalla fine incerta e chissà, forse anche inesistente. Un incubo al quale avrebbe potuto mettere fine lui stesso, con quel coltello che i rapitori gli avevano fornito. “Mi hanno messo nelle mani una decisione”. Violenza psicologica. Ma Shahbaz resiste e “sceglie” di non farla finita. Anche e soprattutto grazie… a una radio. Surreale, ma vero: una delle guardie tenute a controllarlo è un tifoso del Manchester United come lui e da circa novembre 2012 comincia a passargli furtivamente una radio attraverso la quale possono ascoltare le partite o le notizie sullo United chiusi in quella cella. “Quello che per lui era un peccato (ascoltare le partite, ndr), per me era una finestra sul mondo”. La finestra con la vista più bella, seppure da immaginare, per un appassionato come Shahbaz.
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E così le lacrime versate non sono per il dramma che sta vivendo, ma per l’ultimo discorso di Sir Alex nel giorno dell’addio alla panchina dei Red Devils; al termine della stagione 2012/13 il Manchester è campione d’Inghilterra: e pensare che la prima “connessione” di Shahbaz risaliva proprio ad un derby contro il City grazie al quale lo United aveva allungato in classifica sui rivali cittadini. Gli anni a venire non saranno felicissimi a Old Trafford, ma per Shahbaz questo non ha troppa importanza nella situazione di prigionia in cui si trova. E tornato in libertà, ci scherzerà anche su: “Meglio le torture che vedere le partite con Moyes in panchina!”. L’autoironia, un’altra dote che ha salvato Shahbaz: “Per fortuna ero prigioniero nell’anno in cui il City ha vinto la Premier e il Chelsea la Champions League… questo è il posto più sicuro per un tifoso dello United in un anno in cui accadono entrambe queste cose!”.
“Avevo quel coltello in mano. Pensavo: ‘potrei mettere fine alle torture, alle botte’. Ma c’è lo United… non se ne parla nemmeno’.” Così Shahbaz resiste anche negli anni successivi: “sente” la squadra, senza vederla. Ricorda la storia di quel tifoso non vedente che comunque va allo stadio, perché il calcio scorre nelle vene: sai che c’è, anche se non lo vedi. E ti riscalda. “Non ho mai visto Van Persie giocare con noi. Non sapevo come fossero in faccia Martial o Rashford. Ma sapevo quello che facevano. Incredibile quando ho visto Marcus per la prima volta… un ragazzino”. Fino a circa tre mesi prima della sua liberazione, Shahbaz è andato avanti così. Trascorreva la settimana con un unico pensiero che riusciva a dargli forza: quello che nel week-end, in qualche modo, sarebbe entrato nuovamente in contatto con lo United. “È diventata una cosa spirituale per me, una ragione di vita. Non so spiegarlo bene ma… sì, mi ha tenuto in vita”. Shahbaz è stato rilasciato nel marzo del 2016 e ha pianto quando un anno dopo il Manchester è tornato ad alzare un trofeo, l’Europa League, proprio pochi giorni dopo l’attentato terroristico al concerto di Ariana Grande. Ha già ricevuto la maglia originale firmata dai giocatori e sta pianificando la chiusura di questo ideale e folle cerchio, ovvero la trasferta ad Old Trafford. Trasferta? No! Quella è casa sua. Perché a casa si è al sicuro, al riparo, forti. Lo United, a occhi chiusi e cuore aperto, è stata la casa che gli ha salvato la vita. Adesso, ci credete?
La storia di Shahbaz è stata raccontata da lui stesso in molti articoli, tra cui anche uno al New York Times. Del suo rapporto con lo United, fortificatosi durante la prigionia, Shahbaz ne ha parlato a Bleacher Report. Oggi la sua vita è tornata quella di prima, quella di un tifoso normale che su Twitter ironizza e supporta il suo amato United.