L’incredibile storia di Marco Negri, eroe dell’Umbria e di Glasgow. “Un giorno Sean Connery mi disse…”
Dalla retrocessione col Perugia a Dio di Glasgow
Vent’anni
fa, di questi tempi, un
calciatore italiano faceva impazzire mezza Glasgow.
Quella dipinta di blu, tifosa dei Rangers. Un ragazzo che non parlava
mai con la stampa ma di cui tutti parlavano. Uno capace di segnare 23
reti nelle prime 10 partite. Veniva
dal Perugia e il suo nome era Negri. Marco Negri. Dirlo
così, alla James Bond, non è casuale. E presto capirete perché.
“È
stato un momento incredibile”,
ricorda oggi al microfono di
gianlucadimarzio.com.
“Arrivavo
da stagioni prolifiche in Italia e la fiducia nei propri mezzi, per
un attaccante, è la componente più importante”. È
la stagione ‘97/98.
I Rangers cercano un’alternativa al leggendario cannoniere Ally
McCoist, miglior marcatore di tutti i tempi col club ma giunto ormai
a fine corsa. E la individuano in Marco Negri, reduce da una stagione
in serie A con il Perugia, chiusa con 15 reti e una retrocessione che
fa ancora male. “Retrocedere
è una di quelle cose che ti segna la vita. Eravamo una buona squadra
ma il livello del campionato era altissimo. Andò male e così decisi
di tentare un’esperienza all’estero”.
I
Rangers avevano appena messo sotto contratto un altro calciatore del
Perugia, il giovanissimo Gennaro Gattuso. Un caso internazionale, con
la fuga di Ringhio dal ritiro del club umbro e l’ira di Gaucci.
Anche per cercare di calmare le acque, gli scozzesi acquistano Negri.
Ed è subito magia. “Ricordo
la prima partita ad Ibrox, subito in gol davanti a 50mila persone.
E poi i 5 gol contro il Dundee, la rete al Celtic Park nell’Old
Firm contro i rivali di sempre. Emozioni indelebili”.
Fra
agosto e Natale del ‘97 segna 29 reti.
Un re Mida che trasforma in gol tutto ciò che creano i compagni. E
che compagni. “Arrivava
sempre una palla buona. Alle mie spalle avevo Laudrup e Gascoigne.
Che genio Gazza, il compagno migliore mai avuto.
Un genio, in tutto. Una volta andammo a fare una caccia col falco.
L’addestratore era distratto e Gazza iniziò a dare da mangiare
agli uccelli qualsiasi cosa. Quel giorno nessuno riuscì più a farli
volare…”. Nell’anno
che porta al mondiale di Francia, c’è una candidatura in più al
centro dell’attacco dell’Italia di Cesare Maldini. Poi quella
magia, com’era arrivata, in un attimo svanì.
Dalle stelle alle stalle. Maledetto squash
Un
mercoledì di inizio gennaio, Marco va a giocare a squash con il
compagno di squadra Sergio Porrini. È la seconda volta che impugna
una racchetta. Non sa che bisogna indossare occhiali protettivi. Lo
scoprirà dopo, quando sarà troppo tardi: una
pallina scagliata con foga da Porrini lo colpisce all’occhio
destro.
La luce si spegne di colpo. Corrono in ospedale: Negri ha un distacco
parziale della retina. È l’inizio della fine. Riesce a rientrare
dopo un paio di mesi, poi si blocca di nuovo per un’ernia. Da lì a
fine stagione segna solo 4 volte. L’incantesimo si è rotto.
“Ho
iniziato a giocare col contagocce. Improvvisamente era cambiato
tutto. Appena mi rialzavo, succedeva qualcosa che mi ributtava giù.
Mi resterà sempre il dubbio di sapere come sarebbe finita quella
stagione. Non ho mai giocato in Nazionale, forse poteva essere
davvero l’anno buono”.
La
voce di Marco rivela ancora l’emozione di quei giorni.
Quell’incredibile altalena che lo ha portato prima in alto e poi in
basso in poche settimane. Una ruota panoramica, come l’ha definita
lui in “Moody
Blue”,
una meravigliosa autobiografia, finalista, lo scorso anno, di un
prestigioso premio letterario britannico. Un modo per ricordare una
carriera rapsodica e piena di aneddoti indimenticabili. Come
l’incontro
con un tifoso speciale dei Rangers: Sean Connery. O se preferite,
James Bond.
“Mi
stavo fasciando una caviglia sul lettino prima di un’amichevole.
Ero da poco rientrato in campo dopo il fattaccio. Lui era venuto a
salutare il presidente, suo amico di vecchia data. Me lo presentarono
e lui s’illuminò. Mi
chiese che fine avessi fatto, che cosa fosse successo dopo
quell’inizio incredibile.
Missione impossibile da spiegare, anche al re degli 007…”.
Negri resta fino al 2000 in Scozia, chiudendo la sua esperienza con
37
gol in 40 partite.
Poi il ritorno in Italia: Vicenza, Bologna, Cagliari, Livorno e
Perugia. Un cerchio che si chiude in Umbria, dove tutto era
cominciato.
Il re dell’Umbria. Da Terni a Perugia
Già,
l’Umbria. La prima terra in cui Negri approda dopo aver fatto le
giovanili all’Udinese. La
Ternana, stagione 91/92,
lo ingaggia a gennaio per cercare la promozione in serie B. E con lui
al centro dell’attacco, la promozione arriva. “Un
ricordo meraviglioso. Clagluna allenatore di un gruppo granitico.
Segnavamo pochissimo: vincemmo il campionato facendo 21 gol. Io ne
feci 5 e compresi subito cosa volesse dire giocare con la pressione
addosso, In un campionato lontano dalle tv, calcio vero”.
E calci, tanti. Non solo sul terreno di gioco. “Ad
Acireale nel sottopassaggio successe di tutto. Capitavano spesso
queste cose nel girone sud. Ma era comunque bellissimo. Quella
promozione mi diede una consapevolezza incredibile”.
Poi
dopo due positive esperienze a Bologna e Cosenza, l’attaccante
risponde alla chiamata del Perugia
di Gaucci.
Obiettivo un’altra promozione, questa volta in serie A. “All’inizio
fu dura. Gaucci esonerò Novellino. Arrivò Galeone e le cose
iniziarono a girare bene”. Un anno tormentato fra sconfitte,
rimonte e sfuriate epiche del presidente. “Gaucci
aveva i suoi metodi per motivare i giocatori Quando arrivai ero
spesso infortunato e non rendevo al meglio. Una volta mi prese
sottobraccio e davanti alla squadra disse: sa
Negri, io l’ho acquistata per fare la differenza. Ma per noi, non
per gli altri!”.
E
alla fine la differenza Negri la fece per davvero: 18
reti, due decisive per la promozione nell’ultima partita col Verona
al Renato Curi.
“Era
tutto apparecchiato. Lo stadio pieno, loro già promossi, ma in campo
fu durissima. Andammo sotto, poi la riacciuffammo. E fu una gioia
pazzesca. Io e Materazzi uscimmo dallo stadio e andammo a festeggiare
per le vie della città col suo motorino. Senza casco, coi capelli
dipinti di blu, in mezzo alla gente. Altro che pullman scoperto,
quella sì che fu una festa vera”.
Ternana
e Perugia. Due pezzi di cuore per Marco Negri. Due promozioni, un
solo derby giocato (e vinto in serie C con la maglia della Ternana.
“È
una partita speciale perché sono due tifoserie speciali.
In questo calcio ultramoderno avere sprazzi in cui il tifoso è il
vero protagonista fa sempre piacere. Io ho giocato anche il derby di
Glasgow ma quello fra Ternana e Perugia lo porto sempre nel cuore. Le
squadre sono alla ricerca di equilibri, io farò il tifo per
l’Umbria”.
Marco Negri oggi: “Vorrei allenare gli attaccanti”
Oggi
Marco ha 47 anni e vive a Casalecchio di Reno, provincia di Bologna.
Gira il mondo con i camp organizzati dai Glasgow Rangers e spesso
torna in Scozia a commentare le partite del suo vecchio club. “Anche
la settimana scorsa. Purtroppo per una sconfitta in casa contro
l’Hamilton. Una partitaccia”.
Con
sua moglie Monica osservano la crescita del loro figlio Christian, 13
anni.
“Fa
nuoto a livello agonistico. Il calcio gli interessa poco, ma in acqua
è uno squalo vero”.
E
allora guardandosi indietro, cosa resta? “La sensazione di aver
vissuto tutto al 100%. Senza aver mai barato, cercando di essere
sempre prima di tutto un uomo dei tifosi. Perché i loro giudizi sono
sempre stati puri”.
E
adesso però resta ancora un ultimo progetto. Ambizioso e originale.
“Vorrei
allenare gli attaccanti.
Ho il patentino per andare in panchina, ma il mio progetto è
diventare un allenatore di reparto, insegnando i movimenti. Esiste
per i portieri, perché non dobbiamo avere una figura simile per chi
è chiamato a fare gol? Io
ho imparato a stare in campo guardando Abel Balbo ai tempi
dell’Udinese,
ma mi sarebbe piaciuto avere una guida specifica. Ne ho parlato con
tante persone. C’è interesse ma ancora niente di concreto”.
Sarebbe
l’ennesimo capitolo della vita di Marco Negri. Uno da ruota
panoramica o da montagne russe. Uno che ha fatto emozionare anche il
re degli 007.
di Claudio Giambene