L’illusione dell’Arsenal, le promesse non mantenute, la rinascita a Fermo. Attenti a Lupoli: “Nessun rimpianto. La vita è adesso”
Quattro secoli fa, in un angolo d’Inghilterra, un inconsapevole William Shakespeare raccontava la storia di un attaccante e del suo strano destino. “Spesso le aspettative falliscono, più spesso dove sono più promettenti. E spesso soddisfano dove la speranza è più fredda”. Il calcio sarebbe nato quasi 300 anni dopo. A Stratford upon Avon non immaginavano che, in una notte di novembre del 2004, un ragazzino avrebbe fatto impazzire Highbury.
La rete scossa due volte, la porta della gloria spalancata, le aspettative schizzate in cielo. Arturo Lupoli, numero 40, 17 anni. Dalla primavera del Parma, agli Invincibili della Premier. All’improvviso, da signor nessuno a eroe. La sua doppietta stende l’Everton. Una serata di Coppa di Lega trasformata in autostrada dei sogni. “Ho ancora addosso quelle emozioni. Gli occhi dei tifosi, l’esultanza, l’abbraccio di Wenger. Era il mio debutto in casa, vivevo un sogno”. Ai microfoni di gianlucadimarzio.com, Arturo riapre un cassetto di cui conosce ogni centimetro. Quello che poteva essere e che non è stato. Glielo ripetono da una vita. Perché quella notte è stata il punto più alto della sua carriera. “Sono convinto che uno alla lunga abbia quello che si merita. Ci sono state diverse sliding doors, io spesso ho preso la porta sbagliata”.
O non l’ha più vista come quella notte. La ricerca perenne di quell’attimo sfuggente. L’isolamento di Arturo, attaccante a caccia di gol e di un istante.
Oggi, più di tredici anni dopo, Arturo è l’attaccante della Fermana. Serie C, girone B. Da quel 2004 ha cambiato 14 maglie. Quella notte l’ha inseguito come un fantasma. Poi quando la speranza si era fatta “più fredda”, ha ritrovato la felicità. Sette volte in gol, l’ultima nello scorso weekend per agguantare la Reggiana nel finale. Shakespeare, da qualche parte, annuisce. “Ho trovato continuità e devo ringraziare mister Destro. Non giocavo così tanto da anni. È una stagione positiva per me e per la squadra. Costruiamo la salvezza, un tassello alla volta”. E magari qualcosa in più. I marchigiani sono nel limbo, a 2 punti dalla zona playoff. I playout sono a otto punti. Distanza di sicurezza. E al momento, riguardano Santarcangelo e Fano. Le due squadre che a gennaio hanno provato a portarlo via da Fermo. “È vero, sono arrivate delle offerte, dopo il mancato rinnovo. Ero vicino all’addio ma mi sarebbe dispiaciuto lasciare questo gruppo”.
Chiuso il mercato, ha ripreso a brillare. Una sua rovesciata mancina contro il Teramo si candida a gol dell’anno. “La rete che sogni di fare tutta la vita. La palla era un po’ indietro, ci ho provato, è andata dentro. Istinto puro, quello che un attaccante sviluppa fin da bambino”.
Chissà quante volte l’ha immaginato nella sua cameretta di Casalmaggiore, in provincia di Cremona. Lì Arturo è cresciuto, figlio di napoletani emigrati per lavoro, circondato dai poster di Sheva. “Il mio idolo. Sono milanista da sempre, andavo a San Siro con mio padre”. Cuore rossonero, sbocciato all’Arsenal. Guardare indietro, spacca il cuore a metà. “Eh sì, è una settimana difficile…”.
Una sfida osservata da lontano, il confronto fra due allenatori che ha avuto. E che gli suscitano emozioni diverse. “Wenger è un pezzo di storia del club. Parla poco ma colpisce sempre. E concede sempre una possibilità”. Con Gattuso invece è andata peggio. “Mi ha allenato a Pisa, ma non ci siamo mai presi. La società mi aveva fatto un triennale, ma sono stato subito messo ai margini. Abbiamo avuto delle incomprensioni. Come allenatore non lo discuto, non a caso riuscì a vincere il campionato. Però non lo ricordo volentieri. Il calcio è fatto di rapporti positivi e non. Con lui è andata così”.
Arturo non è tipo da rimpianti. Vive il presente con serenità. Sua moglie Letizia lo ha accompagnato in ogni tappa. C’era quella notte di novembre, ma anche quando Highbury chiudeva “emozione incredibile, la tripletta di Henry col Wigan e il bacio all’erba” e quando un infortunio alla caviglia bloccava la sua rinascita nell’Ascoli. C’era a Firenze “il mio primo contratto vero. Purtroppo non giocai mai. Ma con Toni e Mutu davanti avrei dovuto immaginarlo” e a Budapest. Insieme a lei ha costruito una famiglia: Sebastian e Ginevra valgono più dei gol che tutti si aspettavano da lui.
Il passato è una terra straniera, un luogo da lasciare nei cassetti. “Ho realizzato dei sogni. Amavo il calcio inglese e quando Liam Brady, osservatore dell’Arsenal, mi chiese se ero disposto ad andare a Londra, beh… non si può descrivere quella gioia. Sono sereno: ho vinto due campionati con Derby County e Frosinone, anche se quest’ultimo giocando meno. Forse avrei dovuto ascoltare di più me stesso certe volte, ma evidentemente questo doveva essere il mio percorso”.
Porte girevoli. Alcune sparite, altre prese in faccia. Ogni weekend ne ha una davanti per mantenere un’eterna promessa. Ci sta riuscendo, alla faccia di quel tizio che a Stratford upon Avon diceva che “puoi chiudere col passato, ma il passato non chiude con te”. Butti un occhio sul “Bruno Recchioni” di Fermo, il “Globe” dove si esibisce Arturo. Non sarà Highbury, ma un’esultanza è uguale dappertutto.