Le urla di Mazzone, le prime Papu-Dance e i grandi valori del Cristianesimo: Ciro Capuano si racconta
Nel calcio, come nella vita, esistono uomini freddi e calcolatori, abili a sfruttare subdolamente le incertezze altrui per trarre vantaggi e profitti, spesso in maniera sleale. Per fortuna, nel calcio come nella vita, ci sono anche uomini di cuore come Ciro Capuano, simbolo di lealtà sportiva e sincerità. “E per questo devo ringraziare il grande Carlo Mazzone – racconta il difensore della Lucchese – ho avuto la fortuna di averlo come allenatore ai tempi del Bologna. Ero alla prima esperienza in Serie A e lui ha saputo darmi tanti consigli importanti, che si rivelano decisivi ancora adesso. Non te le mandava certo a dire, il vecchio Carlo, e non usava toni molto pacati: era sempre pronto al confronto, anche duro. Splendidamente schietto e sincero. Ogni allenatore dovrebbe essere così, era uno stimolo continuo per i suoi giocatori. Ha dato moltissimo al calcio italiano, è una grande persona. Mi ritengo un privilegiato ad aver lavorato con lui”.
Correva la stagione 2004/2005 e il Bologna del grande Carletto, purtroppo, retrocesse in Serie B. Quella fu la seconda grande delusione del giovanissimo Ciro, che solo due anni prima aveva visto sfumare proprio all’ultimo una storica promozione nella categoria cadetta con la maglia del Pisa, dove allora militava. “Ricordo quel giorno come fosse ieri. Ci qualificammo ai play-off di Serie C al termine di un gran campionato. Eravamo consapevoli di avere dei grandi mezzi: la società del presidente Maurizio Milan era molto ambiziosa e i nostri tifosi ci seguivano in massa ovunque. Tra i miei compagni di squadra c’era anche Antonio Obbedio, allora un ottimo centrocampista, oggi il mio Direttore Sportivo alla Lucchese. Dopo aver battuto il Cesena in semifinale, arrivammo a giocarci la promozione contro l’Albinoleffe e all’andata, sospinti dal nostro pubblico, liquidammo gli avversari per 2 – 1. Tutto sembrava girare per il verso giusto, ma nella drammatica partita di ritorno, con lo stadio Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo colorato dal nerazzurro dei nostri supporters, incappammo invece in una giornata storta e i padroni di casa ebbero la meglio ai tempi supplementari. Ho ancora in mente il silenzio assordante della nostra curva: guardai a lungo i nostri tifosi dopo la gara. Fu una delusione veramente cocente. Lo scorso anno, quando con la Lucchese abbiamo eliminato l’Albinoleffe agli ottavi di finale dei play-off, mi sono preso una piccola rivincita personale e solo adesso posso dire di aver veramente metabolizzato quella clamorosa sconfitta”.
Ben presto, però, arrivarono anche le soddisfazioni per Capuano, che nel frattempo divenne un difensore apprezzato a livello nazionale e tornò a calcare i campi della massima serie, stavolta con la maglia del Palermo. “Cavani, Barzagli, Zaccardo, Bresciano, Sirigu e molti altri. Una squadra straordinaria, di grandi campioni. Al mio primo anno in rosanero ottenemmo la qualificazione in Coppa Uefa con un gran quinto posto e fu una gioia immensa. Giocavamo benissimo. Calcisticamente sono cresciuto molto in quel periodo: l’intensità negli allenamenti di quei campioni era straordinaria, ogni giorno miglioravo un po’. Due anni fondamentali per la mia carriera”.
Poi la decisione di passare al Catania, non certo la scelta più ovvia dopo due stagioni e mezzo in rosanero. “Seguii l’istinto, il cuore. E feci bene. A Catania trovai un gruppo meraviglioso, una tifoseria spettacolare ed un entusiasmo contagioso”. Anche qui non mancavano i grandi campioni in rosa. Ad esempio Alejandro Gomez (el Papu), grande giocatore ed immenso uomo spogliatoio. “Oltre a giocar bene, in quegli anni, abbiamo riso tantissimo. La colonia argentina animava lo spogliatoio ed erano veramente contagiosi: ballavano, cantavano e scherzavano per tutto il tempo, nello spogliatoio regnava l’allegria”. Una testimonianza diretta delle prime Papu-Dance, che proprio in quel periodo cominciarono a diffondersi negli spogliatoi di Serie A. “Gli argentini erano scatenati – sorride Capuano – professionisti esemplari in campo, grandissimi show man dopo il triplice fischio o la fine dell’allenamento. Un altro personaggio dalla battuta pronta, che strappava sempre una risata, era Lucas Castro, ma anche Spolli, Izco, Maxi Lopez e gli altri non si tiravano mai indietro. Erano talmente coinvolgenti che in breve tempo imparammo tutti lo spagnolo!”
Un altro pilastro di quel Catania era Nicola Legrottaglie, che per Capuano è diventato un amico vero ed un punto di riferimento. “Nicola è un amico, una persona di cuore. Nel 2012 è stato proprio lui a battezzarmi come ‘Atleta di Cristo’ e ne vado molto orgoglioso. Valori come il perdono e l’amore vengono spesso sottovalutati od oscurati dalla rabbia e dal rancore, ma è necessario mantenerli vivi. Sono sentimenti unici ed inestimabili, che cerco di coltivare ogni giorno e che conducono alla felicità. Nicola è stato molto importante in questo mio percorso, non posso che ringraziarlo”.
Un’amicizia vera, che nel 2015 ha spinto il difensore partenopeo a seguire l’amico anche in Lega Pro. L’ennesima scelta di cuore e coraggio. “Legrottaglie era l’allenatore dell’Akragas, io avevo 34 anni e decisi di seguirlo. Non è stato facile adattarmi alla categoria, ma con il tempo ho ritrovato sicurezza e a fine stagione abbiamo raggiunto una meritata salvezza, anche se Nicola nel frattempo era stato sostituito”.
Adesso Ciro Capuano è il leader difensivo della Lucchese, inamovibile pilastro dello schieramento di mister Giovanni Lopez. A Lucca ha ritrovato Antonio Obbedio, una tifoseria che lo considera un vero e proprio punto di riferimento ed un gruppo di giovani che lo prende come esempio ad ogni allenamento. In fondo non potrebbe essere altrimenti: chi agisce con il cuore, nel calcio come nella vita, ha una marcia in più e riceve sempre l’affetto che merita. Valori sani, generosità e passione sconfinata. Qualità ormai rare, ma ancora stupendamente vive perché, fortunatamente, nel calcio come nella vita, esistono ancora uomini come Ciro Capuano.
Di Giacomo Bernardi
foto: Alcide