Lampard chiude la porta: eroe di Stamford Bridge, 21 anni di meravigliosa poesia
Quasi
per un gioco del destino e del tempo, che spesso si divertono a
scherzare con i sentimenti, le passioni e i ricordi. Mentre l’uno ieri a Kirkby si allacciava le scarpe e con un pallone sotto braccio iniziava a crescere i ragazzi di Liverpool, l’altro, oggi, dice basta. Forse per seguire la stessa strada. Chissà. Loro due, che sono stati l’immagine di una
meravigliosa illusione, di una poesia di bellezza struggente che
insegue la sua eternità. Steven Gerrard e Frank Lampard. Le due
anime di un calcio (inglese) che sulla scia di un’onda romantica pian
piano si perde sulla battigia, lì dove oggi altri cercano di creare gli
stessi versi. Ci ha pensato qualche mese in più, Frank. Mentre
Gerrard salutava Los Angeles e rispondeva al richiamo di Liverpool,
lui rifletteva. Perché a 38 anni si può amare ancora il calcio con
l’animo di un bimbo che insegue un sogno nel cortile sotto casa. Alla
fine, però, ha deciso di chiudere la porta, con gli occhi
chiusi e le mani lente, senza sapere cosa c’è ad
attenderlo al di là della soglia.
Tic
tac, tic tac. Sembra sempre che per supereroi come lui l’orologio e
l’incedere del tempo siano solo una semplice formalità. Eppure,
eccoci qua. Tic tac, tic tac. Passa, eccome se passa. Immaginatevi di
poter sfiorare quelle lancette e portarle indietro di 21 anni, quando
quel ragazzo di Romford, un sobborgo dell’East End londinese iniziava
a incantare ad Upton Park. Dopo una piccola parentesi in prestito
allo Swansea nel 1995, aveva fatto ritorno al West Ham. In famiglia
gli Hammers erano praticamente una religione: il piccolo Frank era
cresciuto fra il mito dello zio Harry Redknapp, e il padre, Frank sr,
due signori che fra gli anni ’60 e gli anni ’80 avevano messo insieme
con gli Hammers 149 e 551 partite in First Division, in quella
meravigliosa squadra di leggende come Bobby Moore e Trevor Brooking.
Ad
allenarlo c’era proprio lo zio Harry, con cui si tolse lo sfizio di
vincere una Coppa Intertoto nel 1999. A pochi chilometri, però, nel
quartiere di Chelsea, si iniziava a parlare del suo talento. Fu un certo Claudio Ranieri a volerlo. In
quei piedi aveva visto la magia. Tutto iniziò nel 2001.
Tic
tac, tic tac. L’inizio di una storia che nemmeno il tempo può
scalfire. Tiro, intelligenza tattica, orgoglio, correttezza. E 13 anni di amore puro. Totale. Come
spiegare altrimenti le 648 partite (quarto di sempre dietro Ron
Harris, Peter Bonetti e John Terry), i 13 trofei vinti. Ranieri lo
aiutò a crescere, a diventare leader, a esaltare le sue qualità.
Poi, l’arrivo di Mourinho e i titoli: nel 2005, 58 presenze e 19 gol
e la conquista della Coppa di Lega e della Premier League, che dalle
parti di Stamford Bridge attendevano da 50 anni. “E’ il
centrocampista più forte del mondo“: parole e musica di Johan
Cruijff, non proprio un incompetente del mestiere. Un anno chiuso al
secondo posto nella classifica del pallone d’Oro. Nel complesso, 3
titoli in campionato, 4 FA Cup, 2 Coppe di Lega, 2 Community Shield,
la Champions League nel 2012 (prima squadra di Londra a riuscirci) e
l’Europa League nella stagione seguente. Il capitano dell’unica
squadra campione in carica, seppur solo per qualche giorno, di
entrambi i trofei europei principali.
In
quei 13 anni ha rincorso continuamente record, giocando per Ranieri,
Mourinho, Grant, Scolari, Hiddink, Ancelotti (con cui arrivo il
double Premier-FA Cup nel 2010), Villas-Boas, Di Matteo (il
condottiero della Champions League) e Rafa Benitez. Ha vinto tutto,
ha forgiato la sua immagine immortale ed è diventato il miglior
marcatore della storia del Chelsea con 211 gol, superando il primato
di 202 di Bobby Tambling, una vera leggenda. E’ uno dei soli tre
giocatori con Ryan Giggs e Wayne Rooney ad aver superato quota 100 in
Premier sia alla voce gol sia a quella assist; ha segnato 41 gol da
fuori area in Premier League, più di chiunque altro; ha regalato
solo a Drogba 24 assist in campionato. Nemmeno a dirlo, nessuna
coppia ha fatto meglio. Dieci stagioni consecutive in Premier con più
di 10 gol, 177 reti totali in campionato (davanti solo Shearer,
Rooney ed Andrew Cole); 164 presenze consecutive in Premier.
Indovinate? Più di tutti. Meglio di tutti. Il tutto, rappresentando una delle più belle espressioni moderne del centrocampista box-to-box, come amano scrivere in Inghilterra. Numeri e record che
l’hanno reso il re della sua gente, che ha sofferto quando lo ha
visto indossare la maglia del Manchester City, e che era avvolta
dalla nostalgia quando solo in tv poteva ammirare i suoi gol a New York,
al di là dell’Atlantico.
Tic
tac, tic tac. Nel mentre, l’altro, Steven Gerrard, si prendeva
Liverpool e Anfield Road. Quante battaglie. L’uno, Steven, cuore di
una città vivace e per lo più proletaria, l’altro l’anima elegante
del quartiere glamour e borghese di Londra. Due mondi contrapposti,
che non hanno però mai rotto un rispetto reciproco assoluto. Insieme
sono stati l’immagine della generazione d’oro di un’Inghilterra
sempre vicina a una vetta solo assaporata, una maglia che Frank ha
indossato e amato per 106 volte (e 29 gol).
Dopo
1044 partite (tredicesimo di sempre, 2 in meno di David Seaman e 3 in
più di Paolo Maldini), Frank Lampard ha deciso di chiudere quella
porta e di guardare verso un nuovo orizzonte. Dopo aver conquistato
il cuore di Stamford Bridge, dopo aver raggiunto la storia. Se
percorrerà la stessa strada di Gerrard, solo il tempo lo dirà. A
Cobham, c’è da scommetterci, un posto per lui ci sarà sempre. E
chissà se vedremo presto anche lui in tuta, scarpe da ginnastica e
pallone sotto braccio. Tic tac, tic tac. Ventuno anni possono passare
in fretta, senza che tu te ne accorga, lasciando una
scia leggera e intensa al contempo. Scherzi del destino, del tempo. E
nemmeno supereroi come Frank possono ribellarsi.