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L’addio, le lacrime, i ricordi. Buffon e la fine di un’epoca: grazie Gigi

Ha iniziato applaudendo l’inno svedese che San Siro stava fischiando, ha finito piangendo, con le parole strozzate in gola. Le sue lacrime come manifesto di una serata da dimenticare, di un incubo da scacciare il prima possibile. Quel che è certo è che Gianluigi Buffon non si meritava una fine come questa. Sì, perché quella contro la Svezia è stata la sua ultima partita in maglia azzurra.

Una corsa iniziata il 29 ottobre 1997, all’età di 19 anni, guarda caso, contro la Russia a Mosca. Da quel momento la porta dell’Italia è stata sua, per 175 volte, fino all’epilogo più triste. La sua ultima partita in Nazionale coincisa con la mancata qualificazione mondiale, nemmeno il drammaturgo più geniale poteva pensare di chiudere così una rappresentazione durata 20 anni esatti. Signori è finita un’epoca, c’è poco da dire. E non solo perché Buffon non sarà più fra i pali della nazionale, con lui non ci saranno nemmeno Barzagli, De Rossi e Chiellini. Tre campioni del mondo, tre eroi della notte di Berlino.

Buffon voleva giocarsi il suo sesto mondiale, aggiungere un altro record ad una carriera straordinaria. E non siamo qui per ricordare tutto ciò che ha fatto e vinto, ci auguravamo solo di vederlo salutare dopo il prossimo mondiale, come meritava. E in questa notte, insonne, di lacrime, è difficile accettare che un campione lasci così ma lui, come sempre, ha dato l’esempio. Ci ha messo la faccia, si è preso le responsabilità, ha parlato a nome di tutti, allenatore compreso. E’ partito dai bambini: “L’unico obiettivo per me oggi era non deludere quei bimbi che sognano di giocare in Nazionale. Invece non ci sono riuscito, non ci siamo riusciti, e chiedo scusa“.

Sì, perché se ci pensiamo bene per almeno due generazioni di italiani essere ai mondiali era quasi scontato, come se ci portassero di peso visto che una cosa del genere non succedeva dal 1958. E invece ci siamo svegliati tutti di colpo. Non andremo in Russia e non avremo più Buffon in porta. Ci mancherà quel suo cantare l’inno a occhi chiusi, quel girarsi verso le curve ad arringare i tifosi, quel suo spintonare i compagni quando il gioco iniziava a farsi duro. Ci mancheranno soprattutto le sue parate, quella splendida sensazione di sapere che in porta c’era lui, per la serie tirate pure tanto c’è Buffon.

Ci restano i ricordi, adesso. Il primo mondiale nel 1998, l’Europeo saltato nel 2000, Byron Moreno, ancora l’Europa amara del 2004. Ci resterà scolpito nella mente il 2006, Berlino: Campioni del Mondo. Ma la giostra della vita, che poi è la stessa della carriera, lo porta in B con la sua Juventus. Gioie e dolori come nel 2010, in Sudafrica, poi la finale dell‘Europeo 2012. Ancora l’amarezza del 2014 fino al sogno con Conte e quei maledetti rigori con la Germania. Ci fossimo arrivati anche contro la Svezia. E invece è finita. Per 175 volte abbiamo ascoltato insieme l’inno. Un splendido viaggio, senza dubbi. Avresti meritato molto di più, caro Gigi. Tuttora resta difficile credere che nella tua bacheca non ci sia il pallone d’oro. C’è molto altro, però. L’affetto di un popolo intero. E una cosa che non tutti riescono a guadagnarsi, l’immortalità sportiva. Grazie di tutto.