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La vita di Ivan Rakitic: “A 11 raccattapalle del basilea. Ho lavorato in uno studio d’architettura. E la guerra…”

Sorride sempre: quando racconta le sue origini, quando spiega certe scelte di vita, quando gioca. E per fortuna! Altrimenti non sarebbe lui, Ivan Rakitic. Che apre il suo cuore ai colleghi de El Pais, tra infanzia, aneddoti e clásico.

Sapete cosa avrebbe fatto il centrocampista se non fosse diventato calciatore? “Iniziai a studiare architettura, forse sarei architetto. Ma comunque continua a piacermi! Sono arrivato fino al punto di lavorare nello studio – Herzog & De Meuron – che fece lo stadio del Basilea, del Bayern e di Pechino. Sono tifosi del Basilea e mi permisero di imparare un po’ dal loro modo di lavorare. Però ho dovuto scegliere su cosa dedicarmi al 100% e optai per il calcio, le due cose non erano compatibili”. E Barcellona città… gli piace anche per la sua vena artistica. “Ho visitato molti edifici di Gaudi”. Dall’architettura al calcio, il passo è breve nella mente del centrocampista del Barcellona: “Sono comparabili. Il calcio non è così facile come si vede o si pensa: prendere una palla e metterla in porta. Se tu prendi i migliori in ogni posizione non fai la squadra più forte. Bisogna dar un perché, un senso. Alle volte basta darla a Messi ma non è sempre così. Avere e vivere con Leo significa godersela ma non basta, bisogna che la squadra lo aiuti. Serve una struttura”. E se Messi fosse un architetto? “Sarebbe Gaudi, Herzog & De Meuron, Foster, il minimalismo di Mies van der Rohe. Messi sarebbe la genialità di tutti i geni messi insieme”. E Rakitic? “Io un aiutante, come lo sono adesso”. 

Idee chiare, sin da bambino. “Ho sempre voluto fare il calciatore. A scuola i compagni di classe dicevano ‘voglio fare il poliziotto, il pompiere’ io invece dicevo sempre ‘il calciatore’ e qualcuno mi prendeva pure in giro. “No Ivan, quello non può accadere”. Alla fine ho raggiunto il mio sogno, e loro i loro. A 11 anni raccoglievo i palloni nel campo del Basilea pur di stare vicino ai giocatori, quando uno mi salutava mi sentivo al settimo cielo”. 

Aneddoti d’infanzia, Rakitic non si blocca, anzi sviscera. “Durante la guerra dei Balcani la mia famiglia è emigrata in Svizzera però ho sempre mantenuto lingua e tradizioni della mia terra. Mi sento croato anche se è chiaro che una parte molto grande del mio cuore è svizzera, sono cresciuto lì. Ma non fu un problema scegliere la Nazionale per cui giocare”. La guerra? “I miei genitori se ne andarono in Svizzera. Mia mamma trovò un lavoro in una fabbrica di calzetti, mio papà nell’edilizia. Lui giocava a calcio da quasi semi-professionista ma in Svizzera non riusciva a vivere di quello: ecco perché ho la sensazione di vivere un sogno, io. Mi sento privilegiato. La guerra ci ha toccato ma non troppo, fortunatamente. Nel senso che non abbiamo perso familiari. Ma ce ne siamo dovuti andare. Quando avevo 7/8 anni siamo tornati nella nostra vecchia casa in Croazia: i segni della guerra si notavano, tangibili. Non mi piace parlare molto di questo, è successo quello che è successo… L’importante è che siamo andati avanti”. Rakitic sorride. “Se corro così tanto per il mio passato? Può essere. Mi godo ogni momento: la mia professione, lo spogliatoio, i viaggi, facendo interviste. Quindi immaginati giocare nella squadra più forte del mondo”. Barcellona-Real, Rakitic vs Luka Modric. “Credo che Luka sia uno dei migliori giocatori che io abbia mai visto. E’ un amico”.