La terza vita di Neto Pereira, l’uomo di cristallo: “Non penso a smettere: voglio i playoff con il Padova”. Sannino: “Non stupitevi, è come il vino”
L’uomo di cristallo. Non è il sequel di un film di supereroi, ma è semplicemente la descrizione più bella per Neto Pereira. Un ragazzo brasiliano di General Carneiro esploso tardi nel nostro calcio, ma che a 37 anni con il Padova riesce ancora ad essere decisivo. Il cristallo, dicevamo. Tanto prezioso quanto fragile. Proprio come Neto, che a Varese per questo motivo si è guadagnato il soprannome di Swarovski: un talento limpido limitato solo dagli infortuni. Proprio come succede per i supereroi, che affrontano il loro punto debole. “Di lui – ci racconta in esclusiva Giuseppe Sannino, l’allenatore che lo ha voluto e lanciato al Varese – ho solo bei ricordi: si faceva trovare pronto anche quando doveva stringere i denti. Se devo trovargli un neo, sono appunto i tanti infortuni: per questo noi lo chiamavamo l’uomo di cristallo. Ma anche questo lo rendeva un uomo con la U maiuscola. Neto è stato molto importante per me, perché siamo partiti da sconosciuti per poi far parlare di noi. Quando è arrivato Varese, s’è fatto voler bene: è stato un leader silenzioso. La classica persona che parla poco, ma ti sa dire tutto con lo sguardo”.
Fra Sannino e Neto Pereira è stato amore a prima vista. Era il 31 agosto 2008, e alla prima giornata di campionato di C2 il Varese giocava a Gradisca d’Isonzo contro l’Itala San Marco, ex squadra di Neto. Sannino rimase stupito: quando lo rincontrò nella gara di ritorno dell’11 gennaio si convinse definitivamente che lo voleva nella sua squadra: “In attacco giocavano lui e Cristofoli – ricorda senza difficoltà Sannino – ma io rimasi a bocca aperta per la partita di Neto. Dopo parlai con Sogliano e gli chiesi chi fosse quel brasiliano. Dopo aver scambiato quelle parole con il direttore, lui si mise sulle tracce di Neto. Un anno dopo arrivò da noi: un acquisto super, dato che a Varese rimarrà per sempre nella storia”. E così Neto diventò un pilastro del miracoloso Varese di Sannino, con il quale si trova soprattutto a livello umano: “E’ un brasiliano atipico: un uomo di sani principi e un ragazzo con la testa sulle spalle. Mi dispiace che sia arrivato tardi nel calcio che conta. Quando è giunto a Varese ci ha fatto fare il salto di qualità sia in campo che fuori: un uomo straordinario che rendeva facili le cose difficili. Ora spero che porti il Padova ai livelli che merita, cioè in B”. Già, perché ora Neto ha aperto il terzo capitolo della sua vita: sempre in biancorosso, ma con la maglia del Padova. Al primo anno in Veneto ha collezionato per ora 7 gol e 5 assist: mica male, per uno Swarovski. “È un buon periodo – ci dice proprio Neto -, siamo riusciti a raggiungere l’obiettivo della salvezza e adesso abbiamo una piccola percentuale per poter arrivare ai play-off. Ce la metteremo tutta: arriviamo a fine campionato e vediamo. Dopo la grande scalata che abbiamo fatto è nostro dovere provarci”. Una scalata fatta di risultati positivi che ha portato il Padova a soli 5 punti dalla stagione lunga.
Merito anche del brasiliano, che anche a 37 anni sa essere decisivo con le sue giocate. “Ma non c’è un segreto – dice sorridendo -, c’è il lavoro che paga sempre. Quando trovi un ambiente tranquillo e serenità ci sono tutti i presupposti per fare bene. L’unica cosa che posso dire E che lavorando si attendono risultati. Sono molto felice, la piazza calda e c’è un gran numero di tifosi sin casa che in trasferta: è già un grande inizio, e la società è molto seria”. Guardando indietro Neto sa che deve molto al suo passato e alle fasi precedenti della sua carriera, che l’hanno reso l’uomo che è ora. Perché se i gatti hanno sette vite, Neto l’uomo di cristallo ne ha almeno tre: l’Itala San Marco, il Varese e ora il Padova. “Tutte tre le fasi – racconta – mi hanno fatto crescere: all’Itala fra i dilettanti ho avuto la possibilità di crescere molto, conoscere il calcio italiano e la difficoltà di giocare qui. Mi è servito molto perché ho avuto modo di imparare il calcio. Arrivare a Varese mi ha cambiato la vita: sono approdato nel calcio vero, ho trovato grandi allenatori che adesso sono anche in serie A oltre che molti compagni che attualmente gioca nella massima serie. Sicuramente è stato bellissimo, anche per le esperienze dei playoff. Poi, l’opportunità del cambiamento: sono molto felice di essere approdato a Padova”. Cambiamento dovuto alla fine del Varese, fallito quest’estate dopo una stagione conclusa all’ultimo posto in Serie B. “Vedendo come stavano andando le cose – riprende Neto – soprattutto nell’ultimo periodo, un po’ noi giocatori ci aspettavamo questa fine. Certamente è stata una grande sofferenza: ci auguravamo che la stagione non terminasse in questa maniera. Sicuramente non avevo intenzione di andare via, ma dal momento del fallimento ho dato subito l’ok per venire qui. Non ho mai nascosto quanto tenga al Varese: se fossimo rimasti in Lega Pro sarei sicuramente restato in biancorosso, anche perché avevo un altro anno di contratto. Il mio desiderio era di rimanere capitano a vita”.
Ma il destino ha separato Neto dal suo Varese, al quale dedica un pensiero per la promozione in Serie D raggiunta settimana scorsa: “Sono molto contento: dopo un anno di sofferenza la gente di Varese meritava questa gioia. Noi sappiamo quanto abbiamo sofferto assieme ai tifosi: Questo sarà il primo passo per tornare dove Varese merita”. Ma questo è solo il passato, perché Neto è il presente del Padova e ha intenzione anche di esserne il futuro, e chissà per quanto… “In realtà – confessa – per il mio futuro ho dei progetti, ma ne parlerò più avanti. Finché sto bene continuerò a dare il mio contributo. Non penso assolutamente a smettere”. Perché in fondo Neto è come il vino, ma per davvero. Passano gli anni e lui riesce sempre a reinventarsi. E ce lo conferma proprio Sannino, intenditore di vini: “Calza a pennello il paragone con il vino: invecchiando, è sempre più buono. D’altronde, a Varese c’era un gruppetto di amici formato da Neto, Zecchin, e Corti: ogni tanto mi invitavano con loro a bere un bicchiere di vino. Ma di quello buono, però…”. Magari, bevuto proprio in un bicchiere di cristallo…
Luca Mastrorilli