La prima volta di Cheick Diabaté: la storia segnata da tante difficoltà del gigante buono del Benevento
Sgraziato e poco armonioso nei movimenti. A volte scomposto, ma sempre efficace sotto porta. Per Cheick Diabaté parlano i numeri: 95 gol nella sua carriera, 8 in 14 partite nella seconda parte di stagione al Metz lo scorso anno. Oggi la rete al debutto con la maglia del Benevento, un gol da tre punti, segnato dopo appena 12 minuti in campo. Dove non arriva la tecnica, c’è il fisico. Il fisico da giocatore di basket, dentro un corpo da attaccante. Centonovantaquattro centimetri, che lo hanno aiutato spesso dentro l’area come contro il Crotone.
Cresciuto nel CSK Bamako in Mali, il Centre Salif Keita, che porta il nome del giocatore che negli anni ’70 giocò più di 200 partite in Europa con le maglie di Saint-Etienne, Marsiglia, Valencia e Sporting Lisbona. Lo stesso dal quale sono usciti Mahamadou Diarra e Seydou Keita. Uno di quei centri che seleziona e prepara giovani giocatori africani per il debutto nel calcio europeo. Uno di quei centri che regala sogni a chi mette fatica e sudore sul campo. Per Cheick però è sempre stato diverso. Il suo futuro dal calciatore se lo immaginava diverso. Voleva aiutare il suo paese in campo, preferendo il Mali alla Francia, usuale estensione del calcio africano. Il suo primo viaggio fuori dalla sua terra africana nel 2002 a Nizza dove per un mese giocò nei Jeux de la Francophonie con la nazionale del Mali. A spingerlo le parole della madre: “Se vuoi aiutare il tuo paese devi andare via”. Prima in Corsica nell’Ajaccio, poi a Nancy e infine Bordeaux, nei suoi anni migliori dal punti di vista realizzativo.
Gioie, ma anche tante difficoltà. La prematura scomparsa della madre a 13 anni e del suo migliore amico in un incidente. “Ho visto anche mio papà e mio fratello morire davanti ai miei occhi. Sono immagini terribili della malattia”. Esperienza di vita che segnano. Momenti che lo hanno reso più forte e non hanno scalfito il colosso di 194 centimetri maliano. Le difficoltà iniziali soprattutto nell’adattamento nel nuovo paese. La lontananza da casa e una cultura differente: “Mio padre mi ha sempre insegnato a guardare in basso per portare rispetto verso chi mi parla. Per Patrick Battiston, il mio primo allenatore nella squadra delle riserve del Bordeaux, era il contrario, lo riteneva un insulto”.
Il suo momento d’oro con la maglia del Bordeaux, con la quale in 6 anni segna 66 gol. Nel 2012, ha l’opportunità di portare finalmente in alto il nome del suo paese, come fin da bambino aveva sognato. Nella Coppa d’Africa giocata in Guinea Equatoriale, il Mali si ferma però alle semifinali, battuto dalla Costa d’Avorio e da un gol di Gervinho. Ma Diabaté riesce con una doppietta a portare al terzo posto la sua nazionale, nella finale di consolazione, chiudendo primo però nella classifica marcatori. Poi le due stagioni in Turchia, all’Osmanlispor, ancora più lontano dalla sua terra e ormai distante dal grande calcio europeo. Il ritorno in Ligue 1 lo scorso anno è come una rinascita, nel Metz dimostra di saper ancora segnare. Ora a 29 anni, un’altra prova con la maglia del Benevento. Una sfida, quella di cercare la salvezza con la maglia dei campani. Gli sono bastati 12’ minuti per far capire le sue doti. Sgraziato e con poca finezza tecnica, ma padrone dell’area. Merito del suo fisico, a volte scomposto, ma sempre efficace sotto porta.