Keita odi et amo, Immobile come Crespo: quando si è decisivi in modi diversi
Keita e Immobile, decisivi a modo loro. Perché se la Lazio balza al quarto posto a -4 dal Napoli è soprattutto merito dei suoi talenti (reduci dalla vittoria per 3-1 contro il Toro, in rete anche Felipe Anderson). Caratteri diversi, stessi risultati: i gol. E una “decisività” tutta particolare.
KEITA ODI ET AMO
Odi et amo. Così: perché se dovessimo riassumere la storia tra Keita e la Lazio prenderemmo spunto dal “carme” di Catullo. Breve ed efficace, sì. Sgridato, poi perdonato. Incompreso, poi capito. Fuori rosa, poi rientrato. Diciamolo dai: il senegalese ti fa “incazzare” ma non puoi farne a meno. E’ quell’alunno geniale che ne combina di tutti i colori e tu lo sgridi, lo rimproveri. Urli. Ma che alla fine prendi sottobraccio a fine lezione, come ha fatto Inzaghi. Sorridendo. E in sala stampa lancia un messaggio al futuro: “Il mio augurio è trattenerlo”. Una contraddizione chiamata Keita Balde, che anche oggi la risolve come lui sa fare: entra e segna. “Ancora in panca?” chiedono. “Ancora”. E stavolta perché? “Colpa di un taglio al piede rimediato a Barcellona durante la sua festa di compleanno”. Inzaghi criptico: “Non so se gioca”. Ergo: panchina. Quando dice così significa che non lo rischia. Torino come Empoli, entra e segna con un destro a giro dai 25 metri. “Spaccapartite”. Ottavo gol in campionato, un punto in più verso il record personale (nelle tre stagioni precedenti ne ha segnati 10). Semplicemente indispensabile. Tralasciando episodi, litigi, “casi” che in realtà non ci sono mai stati (Inzaghi dixit). “E’ un valore aggiunto, senza la Coppa d’Africa sarebbe in doppia cifra”. Contratto in scadenza nel 2018 e futuro ancora in bilico: “Resta? Va via? Rinnova?”. Una serie di domande senza risposta, avvolte nel “forse” e nel “chissà”. Nel dubbio. Il presente, però, è l’unico elemento chiaro: la Lazio non può fare a meno di Keita, Keita non può fare a meno della Lazio. Odi et amo.
CI PENSA CIRO
Aggettivi rimasti? Pochi. Ormai sono stati usati tutti: strepitoso, prolifico, bomber. Perché Ciro Immobile è tornato “quel” Ciro Immobile. Quello di Pescara e di Torino, lui. Capocannoniere con Ventura (22 gol), ora sono 17 e mancano ancora dieci gare. “Vinta” la sfida con Belotti nel 3-1 dell’Olimpico (ora capocannoniere a 22 reti) . Anche se lui non la chiama così: “Non esiste il duello, noi siamo amici e compagni in Nazionale. Il Gallo sta facendo benissimo e se lo merita”. Qualche messaggino prima della gara: “Ci siamo sentiti”. Ora Ciro se la ride: “Gli dirò che ho vinto!”. Col suo solito modo di fare, sincero. Spontaneo, da “seccatiello” di mammà che da piccolo scommettava col padre: “Vedi la traversa?”. “Vedo, vedo”. E lui: “Ecco, vediamo quante volte la colpisco in 10 tentativi”. Inutile dire chi vinceva sempre. Ah, ultimo dato: al suo primo anno di Lazio ha già fatto meglio di Klose e tanti altri, eguagliando il record di Crespo: l’ultimo biancoceleste ad aver segnato almeno 17 gol in una stagione è stato lui, era il 2001 e fu capocannoniere. Un buon auspicio, no?