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Riconoscersi vincendo: Sarri e la Juventus, storia di un tricolore

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Dovevano riconoscersi, Maurizio Sarri e la Juventus. Ci sarebbe voluto del tempo. E soprattutto, avrebbero potuto farlo fino in fondo soltanto in un modo: vincendo. L’amore – metaforicamente parlando – deve superare prove difficili: vincere uno scudetto in piena pandemia, con una rosa non così funzionale alla tua idea di calcio, con inseguitrici sul piede di guerra, ad esempio.

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E allora, ad un certo punto, la Juventus e Sarri, Sarri e la Juventus – due mondi apparentemente distanti galassie – hanno saggiamente deciso di incontrarsi a metà strada e superare insieme questa sfida: inedita, scivolosa, come il sudore delle serate di luglio, ma affascinante come ogni cosa non scontata. Eccolo, quindi, il nono scudetto di fila, che in un’ipotetica hit parade degli scudetti non scontati di questo incredibile ciclo occuperebbe senz’altro la top 3.

La nona sinfonia, certamente si abuserà di questa similitudine: scavandovi dentro, è stata una sinfonia di toni acuti e gravi. Incostante quanto basta ad innestare il dubbio – tra i tifosi e tra gli avversari – “questa volta è davvero finita?” No, è iniziata, ancora. Come continuerà, a nessuno è dato saperlo.

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“Per forza che resto, ho un contratto”. “Sarri sarà il nostro allenatore anche l’anno prossimo”. Se le parole e gli accordi contano, si potrà parlare di Juve 2.0 di Sarri e di un’annata – tutti lo speriamo prima di tutto per motivi extracalcistici – con meno incognite da gestire. Perché in quello che lui stesso ha definito “il campionato più difficile della storia del calcio italiano”, Sarri è riuscito: uno, a cavarsela senza Chiellini, sfruttandone il potenziale erede che di nome fa Matthjis e di cognome de Ligt; due, a lucidare nuovamente il diamante Dybala e farne il “partner in crime” perfetto di Cristiano Ronaldo; tre, a fare di Cristiano Ronaldo… Cristiano Ronaldo. Ha cominciato a imprimere una nuova filosofia di gioco ad una squadra abituata da anni ad abbassarsi un po’ troppo in fase di non possesso; nel limite del possibile – e con una pausa di tre mesi – il cambiamento è iniziato. Sono stati necessari alti non così fragorosi e bassi a volte preoccupanti, era da mettere in conto.

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Ma è stato un vero cambiamento? È cambiata più la Juventus o più Sarri? O è forse vero che due cambiamenti si annullano a vicenda e che la Juventus è un po’ come un colibrì che si muove in maniera forsennata per restare ferma, resistendo? Un grande scrittore e tifoso della Juventus, Sandro Veronesi, con un romanzo intitolato “Il colibrì” (ed. La Nave di Teseo) ha da poco vinto un Premio Strega. La Juventus versione colibrì ha vinto il suo ennesimo scudetto. Forse il più amaro, senza tifosi a riempire gli stadi e con in mezzo una pandemia che ha aperto una ferita che faticherà a richiudersi per molto tempo; forse il più dolce, perché restituisce la sottovalutata umanità dell’atto di ripartire dopo che tutto sembrava essersi azzerato.

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Dolce o amaro non è il dubbio di Maurizio Sarri, che alla fine vince il suo primo campionato. Dallo Stia al tricolore, in mezzo scaramanzie, campi malmessi, le prime soddisfazioni, una filosofia finita dentro a un vocabolario. Non ditegli però che questo è il suo lieto fine: quando anni fa lasciò il suo posto in banca per un posto in panchina non immaginava epiloghi; voleva forse evadere e trovò il coraggio per farlo. Cercava ciò che per gli artisti è l’ispirazione, per gli scienziati la costante, per gli innamorati l’amore. Lo ha trovato, ma non perché ha vinto. Semplicemente, perché ci ha creduto.

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