Barcellona-Atlético Madrid è stato uno scontro di stili già dalla conferenza stampa. “Xavi aveva detto che il nostro gioco non va bene per le big”, aveva sottolineato Simeone. “D’altronde, quando uno ha convissuto con una sola idea nella vita, le altre non le capisce”. 1-0 Cholo. “A Barcellona se ci chiudessimo in 11 in area non lo accetterebbero”, ha pareggiato a minuti di distanza Xavi. A parole, uno spettacolare 1-1. Nei fatti, però, la partita l’ha dominata il Barça: un 4-2 senza troppe discussioni, la prima grande vittoria di Xavi in panchina, un trionfo anche a nome di un’idea.
Un nuovo, vecchio Barça
“Siamo agli esatti opposti — ha rincarato nel post l’allenatore blaugrana — lui è felice senza la palla, io quando non ce l’ho sudo”. Dai 90’ Xavi ne è uscito addirittura profumato, dato che, fatto salvo il finale in cui ha subito in 10 contro 11, i suoi sono stati assoluti padroni del gioco. Il Barça non giocava così da Barça da tanto, tantissimo tempo, e il trentottenne Dani Alves che apre le braccia davanti ad un Camp Nou in estasi per celebrare il quarto gol simboleggia perfettamente come, con Xavi, sia nato qualcosa di nuovo.
Così nuovo che sembra vecchio, il vecchio Barcellona, quello che l’allenatore di Terrassa è stato scelto per ricreare in una missione suicida — o così pareva. E invece ha tirato fuori i blaugrana da un tunnel apparentemente infinito, da un fatalismo che aveva convinto tutti che essere ogni giorno meno ambiziosi del giorno precedente fosse inevitabile. È arrivato che il Barça era nono e, dopo poco più di tre mesi, l’ha lanciato al quarto posto, superando proprio l’Atlético. È un primo mattoncino, ma già solo questo sembrava impossibile.
Quanto fa un allenatore. Non solo nei punti, anche nel gioco. Ronald Koeman aveva trascinato il Barça in uno stato così malinconico da fargli credere che un gioco antiestetico e opportunista fosse inevitabile. Xavi ha avviato un processo di restaurazione, e ora il Camp Nou è tornato pieno di tifosi che possono rivedersi nella loro squadra. Senza scomodare paragoni illustri, perché la strada da fare è ancora molto lunga, ma nel solco del DNA cruijffista che il presidente Laporta vuole impegnarsi a reinstallare.
In movimento verso il futuro
Non è stato un processo senza difficoltà, ed è ancora molto lontano dal potersi considerare compiuto. Però il Barcellona oggi sembra una squadra (non era scontato) e contro l’Atleti ha dato corpo alle idee del suo allenatore nella forma più nitida mai vista. Gli avversari annullati, tramite il possesso, per larghi tratti della partita, la fluidità posizionale è stata tale da rendere inutili numeri ed etichette. Ferrán faceva la punta, o il centrocampista, o l’esterno; Pedri era mezz’ala, no, terzino, no, centravanti; Gavi giocava alto, poi basso, poi si buttava in area per segnare di testa; Dani Alves partiva laterale ma finiva a fare il regista, posizione che gli ha permesso di arrivare al quarto gol, con un destro dal limite.
Si tolgono 21 anni, Gavi e Alves, ma non potrebbero condensare meglio quello che è il Barcellona oggi: un po’ vecchio, un po’ nuovo; la nostalgia di un passato che non accetta la sua fine, la spensieratezza di un futuro che non vede l’ora di diventare presente. Il Barcellona non è ancora tornato, ma l’ultima partita ha chiarito che Xavi sa come portarlo sulla buona strada. D’altronde, come direbbe il Cholo, “quando uno ha convissuto con una sola idea per tutta la vita”…