Un sorriso, un pianto, un gesto. Tre fattori che coabitano, anzi di più: colorano e danno significato alla vita di ognuno di noi, ai rapporti interpersonali. Ognuno ha la sua idea, chiaro, l’iper relativismo che pervade la nostra società ci impone – costantemente – un pluralismo, un’apertura verso la moltitudine senza la quale – si asserisce – probabilmente le nostre stesse esistenze si sgonfierebbero di significato (è davvero così?). Qualsiasi ricerca sociologica, anche la migliore, non può tuttavia confutare due caratteristiche, meglio due virtù, la cui connotazione carica di positività chi crede in esse: educazione e umiltà. Al loro cospetto qualsiasi relativismo finisce per sfumarsi in una certezza assiologica, che più certezza non si potrebbe.
Testa bassa, lavoro, sacrificio, umiltà, mai mezza parola fuori posto. L’identikit è quello di Giuseppe Vives, l’esempio concreto, fattuale di chi si è costruito con le proprie mani…e soprattutto con il sudore della propria fronte. Passo dopo passo, anche quando sembrava tutto perduto. L’educazione, il saper ascoltare qualsiasi consiglio, la capacità di portare un clima di positività in ogni realtà nella quale si è dovuto calare. La sua storia è legata indissolubilmente ai colori granata. Vives in arte Il Professore, un rapporto magico con Ventura, le tantissime soddisfazioni, il saluto finale in lacrime sotto la Maratona…la bellezza di essere stato sempre e comunque se stesso! “La mia storia ma soprattutto la mia vita sarà per sempre legata al Torino. Sono stati anni bellissimi, il mio sogno era quello di giocare in Serie A, figuratevi in Europa League! Quando penso al Toro – racconta Vives ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - mi commuovo, mi tornano alla mente tutti i momenti belli che ho passato lì, l’affetto della gente, la sincerità. Poco tempo fa sono andato con un mio amico alla presentazione di un libro sul Grande Torino, siamo usciti dalla sala con le lacrime agli occhi. Perché per me il Torino rappresenta tanto, tantissimo e io non ho vergogna ad esternare le mie emozioni…”.
Parole importanti, autentiche. Parole che armonizzano una melodia già di per sé fantastica… “Il giorno dell’addio sono scoppiato in lacrime, mi sono sciolto dinanzi a tutto quell’affetto. Sono andato in panchina per caso, ero mezzo rotto. A fine partita gli altri ragazzi mi ripetono, ‘Dai Pè vieni sotto la Maratona con noi’. Prendo, vado, mi cominciano a fare il coro, scocca la scintilla, scoppio a piangere. Dico la verità, è stata una delle emozioni più belle che la vita mi potesse regalare, i tifosi del Torino li ringrazierò sempre”. Da un’emozione all’altra: Bilbao, San Mames, Europa League. Perché aprire l’album dei ricordi alleggerisce la mente, la proietta in un’altra dimensione… “Quella è stata una giornata incredibile, nemmeno noi ci siamo accorti dell’impresa che abbiamo fatto! La mattina leggevo che ci attendeva l’inferno, che il San Mames sarebbe stato tutto pieno. Ero molto curioso, io vengo dalla provincia, quindi di campi tosti ne ho affrontati. Entriamo in campo per il sopralluogo pre-gara, si sentivano solo i nostri tifosi. Tra me e me dico ‘ma come è possibile?’. Passa un’oretta, dobbiamo scendere in campo… Mi affaccio dal tunnel degli spogliatoi…vedo l’inferno! Non c’era mezzo seggiolino vuoto, eravamo come in una gabbia. Ma quella partita l’abbiamo vinta con lo Spirito Toro, con il cuore, con la voglia di non mollare mai. Noi, i tifosi, Ventura in quei novanta minuti siamo stati una cosa sola”.
Ventura-Vives, storia di una simbiosi totale: fiducia, reciprocità, tutto. Come due buoni amici che collaborano insieme per raggiungere il medesimo traguardo… “Io ho sempre fatto quello che mi chiedeva, in silenzio e senza mai dire una parola sbagliata. Lui apprezzava me, io apprezzavo lui. Poi Ventura è una persona con la quale si sta bene, molto simpatico. Dopo la partita al San Mames ci incrociamo in zona mista e mi fa… ‘Pè, ma dove sei stato?’, ‘All’antidoping, mister’, ‘Eh beh è normale che te l’abbian fatto, con tutto quello che hai corso…’. Scherzava tanto con noi”. Questione di feeling, come tra Vives e il calcio… “Ci ripensavo proprio qualche giorno fa! Io a 19 anni feci il concorso per la Guardia di Finanza e vinsi anche la prima prova a Napoli. Così qualche mese dopo andai a Roma a farne un’altra: erano trenta domande, alla ventinovesima posai la penna sul tavolo e dissi ‘basta! Amo troppo il pallone, voglio provarci’. Ricordo che mamma era disperata, ma alla fine il destino mi ha aiutato…”.
Gli inizi sui campi di terra battuta, tra pietre e 'legnate' dei difensori. Faceva il suo Vives, sempre allo stesso modo: in silenzio e in punta di piedi. Timido, molto rispettoso, “a volte mi vergogno anche a salutare con un bacio le mogli dei miei compagni di squadra. Sono estremamente introverso”. Il lato da guerriero lo tira fuori solo in campo e davanti alla difficoltà, che pure non sono mancate: “Quando giocavo a Giugliano, mi sentii male in campo, ho passato 6/7 mesi nei quali non pensavo ad altro che a smettere di giocare. Per fortuna ho potuto contare sempre sul supporto della mia famiglia, che non mi ha mai lasciato da solo”.
E proprio da Giugliano, invece, è cominciato quello splendido viaggio che lo porta tutte le mattine a svegliarsi col sorriso perché le difficoltà ti colpiscono, ma ti lasciano sempre e comunque un qualcosa di positivo dentro. Una forza propulsiva dalla quale puoi trarre solo energia per guardare con maggior vigore al domani… “Mi voleva il Lecce di Zeman, in B. Io sinceramente non volevo andare. Così venne Filippo Fusco a casa dei miei genitori… ‘Giuseppe andiamo lì, se non altro lo ringrazi per l’interessamento’. Partiamo e nel pomeriggio arriviamo a Lecce, Zeman mi parla faccia a faccia con la sua solita schiettezza, ‘ragazzo, sappi che questo per te è l’ultimo treno’.Chiedo una notte per pensarci, vado in hotel a dormire. La mattina mi bussano alla porta, sul presto… ‘Pè preparati che partiamo per il ritiro…’, ‘Ma come? Quale ritiro?’. E alla fine sono andato: Lecce, Torino, ora la Pro Vercelli. Una scelta dettata innanzitutto dalla volontà di rimanere vicino a Torino con la mia famiglia e poi dal fatto che questo è un ambiente davvero ideale per giocare a calcio, ti viene naturale voler bene alle persone che sono qui, c’è una serenità incredibile. Mi è bastata una cena per capirlo”.
Si diverte, sorride, aiuta i compagni più giovani Vives. Educazione, umiltà e rispetto. Perché chi è forte perché madre natura gli ha donato un gran talento è destinato (spesso, ma non sempre…) a vincere, chi invece possiede siffatte virtù non perde mai, al di là di ogni ragionevole dubbio…