Ci sono cose che in questi sessant'anni sono cambiate radicalmente. Lo sponsor della trasmissione che nei primi tempi la apriva al posto della sigla, ad esempio, era un'azienda che produce alcolici, possibilità che non è più consentita dalla legge, e delle partite trasmesse si poteva ascoltare soltanto il racconto del secondo tempo perché c’era il timore che la gente disertasse lo stadio. Dal 1983 al 1988 e dal 1997 ai giorni nostri, si protrae ancora quel meraviglioso binomio con il genio di Herb Alpert e i Tijuana Brass, le cui note di tromba di A taste of honey sembrano esser state scritte apposta per l’apertura. È il 10 gennaio 1960, quando il modo di raccontare il calcio e lo sport cambia per sempre, perché nell’anno delle Olimpiadi romane la Rai decide di creare un programma che serva da prove tecniche generali in vista delle radiocronache dei Giochi: nasce così “Tutto il Calcio minuto per minuto”.
Filippo Corsini (a sinistra) e Alfredo Provenzali, nella puntata del 50° anniversario di Tutto il Calcio
Roberto Bortoluzzi, Massimo De Luca e Alfredo Provenzali sono state le voci alla conduzione della trasmissione, prima che il testimone passasse a Filippo Corsini. “Sembra una magia, sono un uomo fortunato. Ho scelto questo lavoro quando avevo dieci anni. Giravo con la radiolina attaccata all’orecchio, ascoltavo le partite e mi dicevo ‘un giorno condurrò Tutto il Calcio!’. Me lo sentivo” ha raccontato ai microfoni di gianlucadimarzio.com. L’eredità raccolta è quella di Provenzali, i due sono stati compagni di viaggio in studio per 15 stagioni: “Ogni domenica ho provato a carpirne tutti i segreti. È stata una persona incredibile, un esempio perché non era mai fuori posto. Ho cercato di copiare le sue tecniche”.
Già, Tutto il Calcio. Le voci storiche, quelle che hanno caratterizzato le domeniche calcistiche dell’Italia pallonara. Sì, Enrico Ameri, la sua passione, quella voglia di raccontare ciò che in quel momento milioni di tifosi provavano a figurare. E quelle incursioni di Sandro Ciotti, il suo vocione, tentativo di innumerevoli imitazioni. Per un decennio i loro volti sono stati disegnati dall’immaginazione. Ciascuno li ha pensati a modo proprio, fino a quando verso la fine degli Anni 70 la tv non ha regalato agli italiani il piacere di vedere i loro sguardi, i loro sorrisi e quelle espressioni tante volte immaginate con l’orecchio incollato alla radiolina. La loro storia è anche quella di Claudio Ferretti, Ezio Luzzi, Enzo Foglianese, Marcello Giannini, Piero Pasini, Beppe Viola e nell’era moderna quelle di Bruno Gentili, Giulio Delfino, Giuseppe Bisantis, Giovanni Scaramuzzino.
Enrico Ameri (1926-2004, a sinistra) e Sandro Ciotti (1928-2003), storiche voci della trasmissione
A Riccardo Cucchi sono serviti tre anni di apprendistato sotto la guida di Ameri, che ha formato la voce che ha accompagnato milioni di italiani dal 1982 al 2017. Quella che ha urlato ‘Campioni del Mondo!’ nella notte di Berlino nell’estate 2006. “Ricordo ancora la prima volta che salii in tribuna insieme a lui, che è stata la prima voce più riconoscibile, dopo Nicolò Carosio. Entrai in Rai nel 1979 e mi fu dato il compito di affiancarlo per imparare il mestiere. Non parlai in quell’occasione, mi ritrovai accanto a lui da ascoltatore e fu per me una sensazione straordinaria” ha spiegato Cucchi, andando indietro con i ricordi. D’altronde, la prima volta non si scorda mai, anche per Francesco Repice: “Era un Roma-Bologna (anno 1999, ndr), ci fu pure una pañolada. Sentire la sigla in cuffia fu un’emozione clamorosa e ad essere sinceri lo è ancora oggi”.
Il ruolo di primo piano che la televisione si è ritagliata nel tempo non ha intaccato il rilievo del racconto radiofonico del pallone, nella cultura italiana. “Sono convinto che sia ancora un punto di riferimento fondamentale per gli sportivi. La radio è diversa, non ti costringe a rimaner seduto ma ti porta in giro: ti insegue. Si può andare a pranzo, o portare i bambini al parco o portare la ragazza al cinema, tanto la radio insegue e racconta” ha proseguito Repice. Anzi, secondo Cucchi l’alternativa con le immagini ha finito per caratterizzare l’etere: “Le emozioni date da questa trasmissione credo che siano insuperabili, la realtà radiofonica si avvicina di più a quella collettiva. Dubito che possa esistere una storia del calcio senza una voce che gridi RETE! dagli altoparlanti di una radio. L’assenza di visione è un vantaggio e un privilegio, permette di usare la fantasia tra chi parla e chi ascolta. Il programma funziona di squadra, d’altronde siamo anche noi in campo”.
Riccardo Cucchi (a sinistra) e Francesco Repice, tra i riferimenti più attuali di Tutto il Calcio
Più nello specifico, Tutto il Calcio è riuscito a mantenere intatta un’aura di tradizione e autorevolezza sia nel concept del programma sia nella qualità del racconto dei cronisti, in questi primi sessant’anni di storia. La riflessione di Corsini su quest’aspetto è quasi dantesca: “È la passione per questo sport meraviglioso che ci fa andare avanti dopo tutto questo tempo. Le difficoltà sono tante, come ad esempio la frammentazione tra anticipi e posticipi. Basti pensare che resiste un gruppo di ascoltatori che ci scrive ogni domenica, chiedendo che tornino ad esserci almeno otto partite al pomeriggio. E le puntate migliori, in effetti, riescono quando c’è il turno infrasettimanale perché torna ad esistere quella contemporaneità peculiare. Ormai fa parte della storia del nostro paese: seppure dovessimo arrivare ad una sola partita per fascia oraria ci inventeremo qualcosa”.
Il merito maggiore, banale ma non scontato, è quello di essersi messi al passo con i tempi senza mai cambiare realmente. “Abbiamo modernizzato il racconto, ma non siamo mai venuti meno a quello che è lo spirito: la cronaca minuto per minuto, con le interruzioni solo su gol e rigori, essere asciutti, mai sopra le righe, rispettosi del tifo e precisi nei riferimenti. Innovare la tradizione negli anni ci ha permesso di lasciare tutto inalterato, anche se naturalmente ci siamo contestualizzati” ha analizzato Repice. Con la consapevolezza che il servizio reso sottende ad una responsabilità sociale, secondo Cucchi: “È una staffetta, un passaggio di linea da una voce all’altra, attraverso generazioni di colleghi che sono cambiate. C’è un elemento fondamentale, comune: si tramanda l’esperienza, modernizziamo il linguaggio e poi aiutiamo chi verrà dopo. C’è uno stile naturalmente, che si adatta ai cambiamenti del calcio e alla percezione della gente, le cui componenti restano sempre le stesse: pulizia, chiarezza e fedeltà alla realtà. C’è un rapporto di fiducia con l’ascoltatore, d’altronde se venisse meno la lealtà sarebbe grave”. E tradimenti infatti non ce ne sono mai stati.