L’ultima settimana Nicolò Zaniolo se la sarebbe volentieri evitata. Sette giorni vissuti nell’ossimoro di quel silenzio assordante scritto su Instagram. Di chi vorrebbe ma non può. Rispondere, controbattere, negare, magari spegnere sul nascere. E il rumore montava.
Prima le dichiarazioni, normali e legittime di chi ha la responsabilità di guidare un gruppo. Poi tutto il contorno. Voci, racconti, spifferi, malumori. litigi e invidie. Tante, troppe parole spente da un gemma. Come solo i grandi calciatori sanno fare. Conta il campo e Nicolò lì ha risposto.
Cosa gli sia frullato per la testa dalle parole di Fonseca dopo Roma-Verona alla serata di ieri a Ferrara, lo sa soltanto lui. Ma andando a rivedere lo slalom gigante del Mazza, ogni quesito ha avuto la sua risposta. Sfrontata, palese, esagerata, forse strafottente. Ma non nei modi, nei toni, ma nell’esposizione. Realizzando un gol da campione.
Contro una squadra retrocessa, al 95’, sul 5-1. Sì, vero. Ma c’è una regola che dice che un bel gesto tecnico, un bel gol, debba essere sempre in momenti decisivi? Se non conta allora diventa automaticamente meno bello? La meraviglia di ieri sera non è e non sarà mai soggettiva. Potenza, forza, velocità, tecnica. C’era tutto. Espresso al suo massimo.
L’irriverenza di chi ha quei colpi e li mostra senza vergogna. La sfrontatezza dell’esultanza, come chi, dell’ego spropositato, ne ha fatto un marchio di fabbrica. Senza parlare, senza aggiungere inchiostro a quello già versato. In quei 10 secondi a braccia larghe c’è tutto: “Eccomi, questo sono io”: Mittente chiaro, destinatario tutti e nessuno. Perchè non c’è e non deve esserci umiltà nei grandi giocatori. Non può esserci socialismo dentro ad un rettangolo verde. Uno non vale uno e la storia è piena di esempi.
Da quel gennaio maledetto contro la Juventus, a Ferrara. Un cerchio che forse si è chiuso anche nella testa di Zaniolo. E una settimana di fruscii alla quale dovrà abituarsi. E ben vengano risposte così.