Che fosse una gara strana si era capito già alle 3. Pioggia all’improvviso e grandine su Roma. Ad aprile. In primavera. Così. Quando l’atmosfera, a volte, ti aiuta a capire quello che ti aspetta. E verrà. Che fosse una gara da Lazio, poi, si era capito dopo appena una mezz’ora. Un libro non scritto ma in stesura: complicarsi la vita in pochi passi. Gesti. E poi reagire con rabbia subito dopo, in tempesta, in quattro attimi, grazie alla spinta dei 40mila dell’Olimpico. La Lazio inizia col sole a favore, finisce allo stesso modo, con Lucio Battisti a tutto volume e un giro di campo pieno di applausi. Nel mezzo sopporta un po’ di grandine, il cielo – metafora, chiaro – diventa di un grigio Salisburgo, contorno di maglie che ai centrali scappano via. Senad Lulic squarcia il cielo col piattone, quando segna i suoi non perdono mai (amuleto, è così da 7 reti e due stagioni). Berisha, però, lo ricopre subito dopo.
Il braccio largo, il rigore dopo il dominio. Un nuvolone alla Fantozzi quand’era già uscito l’arcobaleno. Una gara da Lazio, punto e a capo. Amen. Nel bene, nel male. Sole giallo e nuvole grigie, bizzarra primavera. Complicata Lazio. Che sigla il 2-1 col tacco di Parolo ma viene rimontata da Minamino, appena entrato dalla panca. Tutto di nuovo grigio. Una beffa. Ma oggi è il compleanno di Simone Inzaghi. Un anniversario importante. Perché due anni fa, il 3 aprile 2016, dopo un derby perso 4-1 e tanta grandine in tribuna, Inzaghino diventò l’allenatore della Lazio quasi per caso. Come se fosse soltanto un traghettatore in attesa del top player. Ora non più. Ora è grande e "brilla" di suo, come gli ha scritto oggi suo fratello, su Instagram. Stavolta festeggia bene e con un 4-2 sonoro, di rabbia, grazie ai suoi luogotenenti più fedeli: Lulic, Parolo, il solito Immobile (37 gol stagionali) e poi lui, Felipe Anderson il “ribelle”. Quello che rispose male dopo una sconfitta, negli spogliatoi e davanti a tutti. A muso duro. Ha sbagliato, ha capito, è tornato. E nel giorno del compleanno di Simone segna la rete più importante. Decisiva, che scaccia i pensieri e le nuvole nere. Che rende tutti più sicuri in vista del ritorno. Che interrompe l’imbattibilità del Salisburgo dopo 19 partite europee.
Inzaghi è talmente scaramantico che non parla di semifinale, guai a farlo. Guai a rievocare la partita (persa) contro il Porto di Mourinho nel 2003, l’ultima in quel contesto lì, da big in Coppa Uefa. Tra le prime quattro d'Europa. Erano altri tempi, era un’altra Lazio. C’era un Inzaghi calciatore martoriato dai problemi alla schiena. Marco Parolo - sei gol stagionali - stava per smettere di giocare, oggi segna la 300esima rete europea dei biancocelesti. Metamorfosi ora. Inzaghi è diventato grande, come la società. E’ cambiato tutto. Pure il cielo, squarciato dall'arcobaleno, reso limpido da 4 stelle. Niente più nuvole. Solo la Lazio.