Un talento cristallino, puro, di quelli che lasciano sospirare tutti gli appassionati di calcio. Mancava la forma migliore. Poi, l'addio al calcio, che a distanza di qualche mese si è rivelato un arrivederci. Felipe Sodinha, ex Brescia e Trapani, ha deciso di tornare a giocare a calcio, la cosa che sa fare meglio. E lo ha fatto anche grazie al Mantova del direttore sportivo Elio Signorelli, che ha creduto nel suo recupero e gli ha fatto firmare un contratto. Il brasiliano ci tiene a precisare a La Gazzetta dello Sport: "In effetti sono arrivato a pesare 98 chili. Ora però la bilancia dice 83 e devo scendere di altri 4-5 chili, ma è aumentata la massa muscolare". A 27 anni, un giocatore del genere non poteva dire basta così velocemente: "Mi sono ritrovato sul divano, a vedere le partite e a piangere. A un certo punto è scattato qualcosa, mi ripetevo che non poteva finire così, a 27-28 anni. Sentivo un richiamo forte e mi sono alzato dal sofà. Ho incontrato Gesù come mai mi era capitato prima, sono diventato evangelico e atleta di Cristo. Ho sposato Rosangela e insieme abbiamo cominciato una nuova vita".
Sodinha racconta la rinascita: "Bevevo io e beveva lei. Abbiamo smesso, basta. Ho ripreso a correre e a giocare qualche partitella, ho lavorato in palestra. Mi chiamano Sodinha come mio padre Jair, ex del Santos. Papà beve tanta “sodinha” (bevanda zuccherata e gassata molto diffusa in Brasile, ndr). A me non piace, troppo dolce: mai bevuta. Io purtroppo andavo di superalcolici, vodka e whisky in particolare. Mi sono rovinato così. Oggi però è diverso, sono cambiato. Sono andato da un bravo dietologo. Ecco che cosa mangio, a grandi linee, in una giornata tipo. Colazione: spremuta di arance e un panino integrale. Metà mattina: frutta. Pranzo: piatto principale a base di pollo e verdure. Merenda dopo l’allenamento: tanta frutta. Cena: insalata, pesce, ancora pollo. Prima di dormire: yogurt magro. Ce la farò. E’ importante andare a letto presto, massimo alle dieci. Io adesso faccio così".
Il calcio, d'altronde, lo ha tolto da una vita di stenti nel suo Brasile: "In pratica è stata la prima volta in vita mia che sono uscito dalla “favela” in cui sono cresciuto. Sapevo giocare a calcio, ma non conoscevo nulla del mondo. Ho ignorato il valore dei soldi per anni. Quanto denaro ho buttato via in cose inutili, nelle discoteche o nelle feste. Quanto ne ho regalato. Quando ero bambino, mio nonno paterno mi prometteva dieci reais (la valuta brasiliana, ndr) per ogni gol, ma segnavo pochissimo e intascavo quasi niente. Per me era più bello scartare il portiere e passare la palla a un compagno perché la mettesse dentro. Forse sono troppo buono, do tanti soldi a malati di tumore e Hiv della mia “favela”. Lo faccio volentieri, sono fatto così. Mi dispiace aver tradito Calori: a Brescia mi faceva da secondo padre, sentivo la sua fiducia, eppure io la notte andavo in giro a fare cavolate di nascosto a lui. Quanti errori".
Poi, la mente va alla rottura con Antonio Conte ai tempi di Bari: "Vacanze di Natale, vado in Brasile e mi ripresento a Bari con dieci giorni di ritardo. Conte mi chiama nel suo stanzino: “Non ti voglio più vedere, allenati da solo, vattene”. Durissimo, senza pietà, ma aveva ragione lui. A vent’anni rifiutai la convocazione nell’Under 21 italiana e non mi ricordo neppure il perché. Grazie a un bisnonno di Treviso ho il passaporto italiano. E sì, sono convocabile dall’Italia. Serie A? Al massimo una panchina a Udine. E’ il mio cruccio. Tutti dicono che in Serie A dovrei trovarmi meglio perché lì la tecnica conta, eppure... Vista da qui, oggi, la Serie A è un sogno e per realizzarlo dovrò fare bene a Mantova, in un campionato difficile come la Lega Pro, dove tutti lottano e corrono".