Lo chiamano ‘le monstre’ per via della sua enorme stazza, ma in realtà Cheick Diabaté è un gigante buono. Vive per il calcio, a volte balla in campo quando non lo vede nessuno, e soprattutto segna. Due gol alla Juventus, dopo la doppietta al Verona e la rete all’esordio al Crotone. Si è preso la scena Cheick, anzi Cheicky, come lo chiamavano ai tempi del Bordeaux. Poco elegante, ma estremamente efficace. Contro i bianconeri ha aggiornato le statistiche: fa un gol ogni 39 minuti in A. E’ l’uomo dei gironi di ritorno e delle salvezze. Come con il Metz dopo l’esilio in Turchia. Ritorno in Francia, 8 gol in 14 partite e Ligue 2 scongiurata. Quasi impossibile ripetere l’impresa con il Benevento, ma questo Diabatè è da Serie A. Eppure in Italia è arrivato sottotraccia accompagnato solo da tante domande. La più scontata: “Ma chi è’?”. Lui risponderebbe così: “Un ragazzo che ride sempre e che vuole diventare forte come Eto’o e Drogba”.
In Francia è diventato un personaggio perché spesso parlava di sé in terza persona e per i siparietti simpatici che inscenava con i giornalisti. Al Bordeaux è stato prima deriso per i suoi movimenti poco aggraziati e poi amato per i gol che ha messo a segno (66 in 152 partite). E pensare che la sua carriera è iniziata tutta in salita. Colpa della lingua e delle tradizioni di origine. Quando a 18 anni è arrivato in Francia dal Mali non guardava nessuno negli occhi per rispetto, come gli aveva insegnato il padre. Un’usanza incompresa dall’allenatore dell’epoca, Patrick Battiston, che non lo fece mai giocare per questo motivo. Eppure Diabaté il sorriso non l’ha mai perso, nemmeno quando gli piovevano critiche addosso e veniva girato in prestito in ogni angolo di Francia. D’altronde la vita gli aveva già insegnato a superare ostacoli ben più difficili. Prima la morte della madre, poi quella del suo migliore amico a causa di un incidente quando aveva 13 anni: “Stavamo giocando insieme a biliardino, mi ha detto ‘vado a mangiare, ci vediamo dopo’, ma non è mai tornato” Ha dovuto assistere anche alla scomparsa del padre e del fratello.
Lezioni di vita che si porta ancora dietro. Ha imparato che “la morte cammina al nostro fianco, per questo ho deciso che la vita è meravigliosa e va vissuta appieno. Amo tutti, anche quelli che mi criticano, anzi loro più degli altri”. Poche parole per comprendere Cheick, ragazzo sensibile dietro l’aspetto da duro. In campo però non tira mai indietro la gamba, ha sempre combattuto. Nei sei anni al Bordeaux e al suo ritorno al Metz dopo la parentesi poco fortunata in Turchia con la maglia dell’Osmanlispor. Poi l’infortunio, la chiamata del Benevento e la rinascita. L’ennesima della sua vita. Ci ha messo poco a presentarsi alla Serie A, dieci minuti nel finale con il Crotone e gol vittoria. Da lì non si è più fermato, ha fatto 5 su 5. Il Benevento probabilmente non riuscirà nell’impresa di salvarsi, ma Diabaté ha già vinto così.