È il Sarri-day. La Juventus presenta il suo nuovo allenatore nella conference room principale dell'Allianz Stadium. Ingresso riservato, sala gremita di giornalisti nella stessa sala dove, l'anno scorso, la Juve presentò Cristiano Ronaldo. #WelcomeSarri recita il tabellone interattivo dietro alla postazione dell'ospite principale. Oggi, l'attenzione è tutta per lui. In prima fila siede tutto lo stato maggiore: il presidente Agnelli, Pavel Nedved. Al suo fianco, invece, Paratici: "Lo presentiamo, ha firmato con noi un contratto triennale". "Sono molto contento di essere qui", esordisce lui.
A parlare è Paratici: "La trattativa non è durata oltre un mese. Avevamo e idee chiare fin dall'inizio, ma dovevamo avere il rispetto delle parti in campo: due grandi club che si parlavano, noi e il Chelsea, che ringrazio per la disponibilità. Ci sono voluti dei tempi, bisognava solo rispettarli".
Sarri: "È la scelta più rivoluzionaria della mia carriera? Non lo so e non lo penso. Ci vuole un percorso. Quando arrivai al Napoli ero emozionato e contento, e ho dato tutto dal punto di vista professionale e morale. Negli ultimi mesi lì ho avuto un dubbio se andare avanti per affetto o se fermarmi perché la testa mi diceva che il percorso era concluso. Poi il Napoli mi toglie il dubbio: presenta Ancelotti, per colpa mia che non davo delle risposte. Ho ricevuto offerte dall'Italia, e ho preferito andare all'estero per non passare direttamente dal Napoli a un'altra società italiana. In Premier ho vissuto un'esperienza bellissima, nella seconda parte per motivi più personali che professionali sento il bisogno di tornare in Italia: arriva la Juve, la più importante di tutte. Penso sia il coronamento di una carriera lunghissima, che nell'80% è stata anche difficilissima. Penso di aver rispettato tutti, compresa la mia professionalità".
Quali sono le prime sensazioni? “La sensazione è stata forte. Non per quando mi hanno chiamato, ma come: ho visto una società determinatissima e non mi era mai capitato. Mi ha colpito questo: una dirigenza tutta compatta verso un allenatore. Una sensazione forte, per l’atteggiamento di tutti questi dirigenti: convinzione e compattezza”. Sul sistema calcio e le polemiche che ci sono state, come su Conte all'Inter: "Penso che ci vorrà un percorso lungo. In Inghilterra il clima è molto diverso, le panchine sono attorniate di bambini per esempio. Ci vorrà una struttura. Sul gioco? Qui le squadre hanno meno attitudine a rischiare. Io sono molto contento del fermento che c'è in Italia: Conte, Giampaolo che è tra i migliori, Fonseca, Ancelotti, De Zerbi. Mi sembra si stia creando un'aria bella frizzante come allenatori: ci possono essere i presupposti per vedere tante cose interessanti".
“Se sarò giudicato sulla Champions? Io mi aspetto di alzarmi la mattina e studiarmi il modo di vincere la partite, in generale. Non è dovuto pensare che il risultato sia certo: quella anzi è una sconfitta. È sempre più difficile vincere: è chiaro che la Juve ha l’obbligo del fardello dell’essere la favorita in Italia. Champions? Ci sono 8-9 squadre che hanno la stessa forza, ha l’obbligo di vincere. In Italia hai responsabilità più forti, in Europa hai un obiettivo da centrare con ferocia ma ha un coefficiente di difficoltà mostruoso”.
Sul calciomercato: "Il primo passo è studiare bene e caratteristiche dei giocatori, quindi parlarci, quindi adeguare il modulo in base a quei 2-3 giocatori che possono farci la differenza. Il 4-3-3 del Chelsea era molto diverso dal Napoli per esempio: andava valorizzato Hazard ma potevano esserci controindicazioni in fase difensiva per esempio. Cerchiamo prima di tutto di capire i giocatori, accompagniamoli: il modulo sarà una conseguenza".
Che emozioni ha avuto quando è arrivato alla Juve? “Se avessi avuto nel corso degli anni tutte le emozioni che mi avete attribuito, sarei morto di infarto vent’anni fa. Non passo dai Dilettanti alla Juventus, ma ho fatto un percorso lunghissimo. Ed è stato fatto di passi. Arrivo dal Chelsea, un altro grande club con meno storia della Juve chiaramente. Ma lo ritengo un ulteriore passo in avanti”. Allenare Ronaldo? “È un’escalation pure sotto questo punto di vista. Negli ultimi anni mi sono trovato ad allenare giocatori forti, alcuni molto forti nel Chelsea, qui di è al top mondiale. Cristiano ha quasi tutti i record che si possono avere nel calcio mondiale: mi piacerebbe farne battere un altro”.
"Le mie querele al giornalista? In quel momento del mio passaggio alla Juventus stava dando una notizia priva di fondamento. Non riguardava la Juve in sé. Sul mio passato a Napoli? Eravamo l'alternativa più credibile a loro, avevo l'obbligo di creare tutte le possibilità per battere la Juve. Ho dato il 110%, e non ci siamo riusciti. Lo rifarei, ci riproverei. Quell'esperienza è finita: ora la mia professionalità mi porterà a dare tutto per questa società: tutto quello che ho fatto posso averlo fatto con mezzi o modi sbagliati, ma penso sia un qualcosa di intellettualmente apprezzabile. Perché io posso odiare un avversario per batterlo in tutti i modi possibili, ma alla fine lo devo apprezzare".
A Napoli viene vissuto come un traditore? "Qualche giocatore ha parlato, pubblicamente si dicono delle cose per avere buoni rapporti con l'ambiente. Poi i messaggi personali dicono altro. Ma lasciamo perdere... Non mi sento un traditore: ho seguito la mia professionalità. E anzi nella vita ho rispettato tutti, dando il 110% per tutte le maglie in cui ho allenato. E farò lo stesso anche qui: può essere insufficiente, poco, ma il 110%. Non ci voglio romanzare tanto sopra: mi sento di aver rispettato tutti".
Una domanda anche a Paratici: "Vincere? Conta esattamente come prima. Poi, non c'è una ricetta per cui si vinca o si perda, se ci fosse chi l'ha inventato sarebbe ricchissimo. La scelta è stata pensata perché la spinta propulsiva era un'alchimia che si era creata tra allenatore, società, squadra e tifosi: temevamo potesse affievolirsi un po'".
Di nuovo Sarri: "I club sono fatti da persone. Il primo approccio mi ha fatto pensare a grande unità. Per me è importante: lavori per un club ma è il rapporto che ti fa fare di più. Se senti compattezza, vai meglio. Mi sono bastate un paio di cene con i dirigenti per capire che sono un gruppo forte per compattezza, determinazione, mentalità. Questo mi piace molto. Ronaldo? Mi piacerebbe averne due", dice con una battuta.
Sullo scetticismo: “Mi capita come dappertutto. Arrivo a Empoli dalla C e sono scettici. A Napoli da Empoli e sono scettici. Pure al Chelsea lo erano. Arrivo qui, forse lo scetticismo può essere un po’ meno ma ho la mia storia: ci sta ci sia un minimo di rancore e scetticismo. Ma nel calcio si deve vincere e convincere per far cambiare idea alla gente, facendo divertire e giocando un buon calcio”.
Su Dybala e Ronaldo: "Io penso che con quelle qualità, possano giocare in qualsiasi ruolo. Poi in base alle caratteristiche, la squadra si adegua".
Sul motto aziendale della Juve: "Per quanto riguarda il vincere, posso dire poco. Ho vinto poco, o magari in categorie più basse. Penso che l'obiettivo di divertirsi in campo non sia antitetico a quello di vincere: se una squadra si diverte, allora diverte. E se conquista il pubblico conquista quell'entusiasmo collettivo che è molto spesso benzina per andare a fare risultato. Non si può pensare che una squadra che si diverte sia frivola. Io mi ricordo che a Empoli dopo una delle prime partite mi chiesero se pensavo davvero di salvarmi giocando così, perché serviva difendersi di più. Ce la facemmo con sei giornate d'anticipo. Durante il proprio percorso bisogna rimanere se stessi, convinti delle proprie idee, consapevoli che nelle idee ci siano vittoria e sconfitta: bisogna trasmettere le giuste cose alla squadra".
“A Napoli, quell’anno in cui arrivammo vicini allo Scudetto, non avevamo la forza per fare tre obiettivi insieme. Quando parlai di potere, prendere il potere, dicevo quello: e restammo in ballo fino a dieci giorni dalla fine. Purtroppo non ci arrivammo”.
Sulla tuta: “Io preferirei non andare in divisa sociale in campo, fuori sì, è un obbligo contrattuale. In campo preferirei di no: ci confronteremo. L’importante è che non mi mandino nudo in campo, ho una certa età…”.
"La filosofia di calcio rimane la stessa, ma l'applicazione pratica richiede elasticità mentale di modularla a giocatori fatti. Non puoi cambiarli, o non saresti credibile".
Sul razzismo in Italia: "Non è che cambio idea se cambio società. In Italia è ora di smetterla, è una manifestazione di un'inferiorità così netta nei confronti dell'atmosfera che si respira negli stadi europei che fa venire voglia di dire basta. È giusto anche fermare le partite: lo pensavo a Napoli, che probabilmente è una delle squadre che subisce di più un certo tipo di atteggiamento. Ma se lo sento anche adesso, l'idea resta la stessa. Atmosfera al San Paolo? Se mi applaudono è una manifestazione di amore. Ma se mi fischiano, è una manifestazione d'amore. Uscirò sempre con quella convinzione da lì".
“Su come sia finita a Napoli penso di avere una parte della colpa, non tutta. Era il mio sogno allenare lì, mi sono battuto con la sciabola in mano. Qui sono venuto davvero molto convinto: se poi ci mettiamo a parlare di sceneggiata, dito e altre cose, non ne usciamo più”.
Sui giocatori: “io a Paratici ho chiesto di poter parlare con 2-3 giocatori. Nelle imposizioni credevo 20-30 anni fa. Ora l’età mi insegna che bisogna condividere. Io voglio cominciare a capire cosa loro pensino di se stessi, partendo chiaramente da quelli più importanti nel senso che possano essere più incisivi nel raggiungimento dei risultati”.
Conferma Paratici: “Ci confronteremo poi oggi, faremo tutte le considerazioni del caso. Su campagna acquisti e sui giocatori. La scelta del mister? Pensavamo che fosse il migliore per la Juventus adesso. Come lo pensavamo prima per Allegri e prima ancora per Conte. Hanno vinto tutti, in maniera diversa. Penso sia il più adatto e il migliore per noi”.
Di nuovo Sarri: “Cosa mi ha colpito? Io ho fatto trent’anni di trattative con le società, ho affinato una certa sensibilità per capire quando ho di fronte a me una persona convinta davvero. Non è stata una frase a convincermi, ma l’atteggiamento. O io mi sto rincoglionendo o sono stati capaci di darmi questo fine, questa sensazione. Per me è stata la cosa più importante”.
Sui giocatori: “Bisogna partire dai talentuosi, Ronaldo, Dybala, Costa (un potenziale top player ancora non ancora esploso con continuità) e poi vedere cosa costruire intorno. Per vedere quel che ci possano dare in fase offensiva ma anche difensiva. I giocatori che fanno la differenza sono quelli che hanno talento. Non ho nominato dei giocatori? Higuain, Mandzukic… Non ho la rosa sotto mano, non volevo saltare nessuno. Pipa alla Juve? Gli voglio molto bene, lo sapete tutti. Penso che dipenda da lui. Ma su chi c’era qui io voglio essere modesto: sono io che ascolterò e mi adeguerò. La riterrei una mancanza di rispetto verso la dirigenza. Mercato? Ora vediamo, una volta decise alcune cose su modulo e quant’altro, cominceremo a parlare. Io non amo fare grandi richieste sui nomi, ma sulle caratteristiche. A me interessa trasmettere quello che mi serve, in base alle caratteristiche: lui di sicuro conosce molti più giocatori di me. La competenza di Paratici in questo è nettamente superiore alla mia”.
“L’eredità di Allegri? È pesante. Non è facile vincere quanto ha vinto lui. Ha raggiunto risultati straordinari. Era difficile anche mentalmente da affrontare: ha ottenuto un risultato straordinario”.
Sul settore giovanile: "Dall'essere arrivato ieri all'essere Ferguson ci passano vent'anni di esperienza. Mi sembra utopico pensare che possa incidere. Con Fabio faremo anche qualche riunione con tutti gli allenatori dell'Under 23, ma per riuscire a instillare una filosofia nei settori giovanili il percorso è molto lungo, e non penso di avere l'età per fare come ha fatto Ferguson. Per finire il percorso dico".
"Mi definiscono integralista? Detto a uno che a Empoli ha cominciato con un modulo e finiva con l'altro, idem a Napoli e poi a Chelsea, mi sembra un po' troppo".
Paratici: “Quando è arrivato l’affondo decisivo? Non siamo stati a guardare le voci dall’esterno”.
Di nuovo Sarri: “Cos’è il Sarrismo? Non ho idea di che sia. Ho letto sulla Treccani che è una filosofia calcistica e non solo. Non è che allora io mi metto a pensare come possa essere nata. Io sono sempre stato questo, qualcosa ho cambiato. Sono un po' troppo diretto, sento il bisogno di parlare, di dirsi in faccia le cose. Questo può portare a scontri che però sono risolvibili. Quello che non viene detto diventa irrisolvibile: porta rancori. Porterò qui dei concetti di fondo".
"Non ho sentito De Laurentiis, con il quale tutti pensano io abbia un brutto rapporto. Ma io Aurelio lo ringrazierò sempre: mi ha regalato il sogno della vita, da napoletano allenare il Napoli. Non dirò mai i giocatori con cui ho parlato: sono conversazioni e messaggi di carattere strettamente personale. Massimiliano? No, non ho sentito nemmeno lui. Di solito d'estate lo chiamiamo a cena con amici comuni. Ho avuto un'estate finora un po' difficile: mal di schiena, poi la Juve... Lo sentirò, ma di solito è per cazzeggio: non parliamo di argomenti molto seri".
Di nuovo con Higuain: "Con lui al momento non ho parlato, dopo la festa di Baku. Dovevo farmi le mie idee sulla Juve, sentire quelle della società. Lui è un tesserato, quando rientrerà avremo modo di parlarci. È un centravanti che per qualità tecniche può giocare con chiunque, non lo vedo un grandissimo problema. Dicevo che dipendeva da lui perché ho la sensazione che lui abbia vissuto male il post Juventus, e che sia uscito un po' scosso dalla Juve e abbia fatto una stagione in cui abbia un po' patito il trauma emotivo. Ha l'età però giusta per fare ancora due o tre anni di grande livello".
“Certe cose le ho dette, certe le ho sbagliate, certe altre sono state strumentalizzate. Ne ho letta una sulle maglie a striscie… ma era dopo Empoli-Milan. La questione del dito è stata chiaramente una cosa esagerata da parte mia, ma è stata poi ben spiegata nel postpartita. Dissi di aver ecceduto, ma nei confronti di 15-20 stupidi, non di tutta la Juve. Non ho problemi con i tifosi della Juventus: ma se quegli stupidi mi sputano e mi gridano terrone, dovevo non reagire ma non li ritengo tifosi della Juventus”.
Su Bernardeschi: “A me lui piace, spesi giocatori importanti per questo ragazzo. Ha delle qualità che sono un comune denominatore dei grandi giocatori: la coordinazione. Gli manca un po’ di continuità, ed è nel momento in cui deve crescere in questo, specializzandosi in un ruolo”. La stampa inglese? "Tutti gli attacchi che subisci, se li superi ti danno forza".
“Il mio gioco? È chiaro che potrei dire che mi piacerebbe vedere Pjanic giocare 150 palloni, ma vediamo. Ogni squadra è come un figlio: solitamente lascio libertà negli ultimi 30 metri. Vediamo tutto”.
A Paratici si chiede di Pogba e Rabiot: “Sono due grandi giocatori. Paul ci ha dato tanto, gli vogliamo bene, è cresciuto. Ma è un giocatore dello United. Rabiot? Noi siamo in corsa, ha tante squadre. Ma siamo in corsa anche per altri: vedremo con Sarri quali potranno essere i giocatori migliori”.
Termina la conferenza.