Parliamo di "evoluzione siberiana" perché "l'educazione" è un capitolo già chiuso. Lilin ci perdonerà, ma il nuovo avanza a ritmi di suola e calci piazzati: "Il mondo scopre Golovin". Un talento, punto. Anche se la sua storia procede pari passo con quella della Russia. Ritratti di vita e generazioni nuove, cambiamenti e stravolgimenti. Freddo polare e -20 gradi. Chiaramente parliamo anche di Siberia, posti sperduti e spesso inospitali, “il pollo” viene da li. Soprannome curioso. Aleksandr era secco secco, un “grissino” 12enne che giocava a calcio a 5 tra le strade di Kaltan. Bassino, talentuoso, gracilino come pochi.
Per questo lo chiamavano così, inconsapevoli che un giocatore simile sarebbe nato proprio in quei contesti, tra il freddo pungente e le miniere siberiane. Buchi neri pericolosi (il suo primo allenatore perse una mano in un incidente). Oggi Golovin è un po’ più in carne, il suo gioco ha mantenuto i retaggi del futsal e ha trascinato la Russia all’esordio Mondiale. Debutto da “wow” per Zhirkov e compagni, 5 gol all’Arabia Saudita in un Luzniki strapieno. Golovin starring con 2 assist e una rete su punizione, marchio di fabbrica già visto in Europa. Marotta lo studia da tempo, per il dg “è più di un’ipotesi”. Prende appunti.
LA BENEDIZIONE DI CAPELLO
Sergei Utzkov - osservatore del CSKA - lo scoprì a Kaltan quasi per caso, mentre dribblava i giacconi in un campetto di quartiere. Golovin è cresciuto per strada, tra le gente comune, nel gelo. "Protetto" dagli Urali e in uno snodo importante del paese, mentre la Russia iniziava l'era Putin (al governo dal 1999). Parentesi. Al premier non è mai piaciuto il calcio, ma dopo la punizione del 5-0 ha alzato le braccia come a dire "fermi, questo ragazzo è un talento e l'ho capito anch'io". Proprio come successe 15 anni fa. Trasferimento lampo e tappa a Mosca: Golovin gioca, si diverte e tiene botta. Qualche compagno lo prende in giro per via del suo accento, quel “russo storpiato” che sa di Siberia, di periferia. Ma a lui non è mai importato. Debutta con il CSKA a 19 anni grazie a Slutsky, uno che l’ha sempre stimato: “È il più forte giocatore che abbia visto crescere, lasciarlo ad un altro allenatore è stato come abbandonare un ottimo banchetto dopo l’antipasto”. Amen. Vincerà campionato e Supercoppa russa, a 22 anni è ancora lì.
Fabio Capello, invece, l’ha fatto esordire in Nazionale a 18 anni nel 2015: “Avevo intravisto qualità importanti”. Golovin è una mezz’ala, gioca bene in un centrocampo a 5, è la sua forza. Parola di “Don” Fabio: “Ha fantasia e tecnica, è bravo anche a calciare le punizioni". L’abbiamo visto. E l'ha notato anche l'Arsenal in Europa League, è bastato aggirare la barriera. Golovin può fare anche il fantasista, nelle giovanili giocava lì, ma è in versione “play” che dà il meglio di sé. Quest’anno ha imparato anche a segnare (7 gol stagionali, nelle due annate precedenti si era fermato a quota 3). Vive di strappi e fiammate.
Spesso parte da sinistra e tenta la giocata: cross o tiro a giro, basta vedere l’assist di oggi per Gazinsky e la perla in Europa League contro il Lione. Manifesto di un calcio nato dal nulla, in Siberia e a -20 gradi sotto zero. Golovin è il simbolo di una nazionale qualitativamente priva di talento, ma al tempo stesso di un paese che sta provando a invertire il trend negativo. Ormai bisogna puntare sulla “generazione dei ‘90”, i figli della caduta dell’URSS e di una serie di sconvolgimenti politici e sociali. I russi si son fatti una domanda: “Siamo un paese enorme, come facciamo a scovare fenomeni nelle zone più lontane?”. Spazio al K11, un progetto di “ricerca” finalizzato a recuperare i talenti di quegli anni. L’obiettivo è “colmare il divario tra strada e campo”. Individuare la qualità in posti in cui nessuno se l'aspetta, o magari fatica ad emergere. Com'è successo a Golovin. Cresciuto nel nulla, tra gelo e miniere, in una Russia che oggi trascina al successo.