“Parigi è la Torre Eiffel, Roma è il Colosseo. Un tifoso giallorosso che pensa alla sua squadra ricorda il Lupetto”. Simbolo di un club e di un popolo che ama. Stampato, inciso, tatuato. Presente ovunque. Anche 42 anni dopo.
Dalla prossima stagione il Lupetto di Piero Gratton tornerà sulle maglie della Roma. Fu ideato nel 1978 dall’artista romano su richiesta del presidente Gaetano Anzalone. “Mio padre lavorava come animatore e grafico alla Rai. Aveva la fortuna di viaggiare per il mondo alla ricerca di idee innovative. Di ritorno da un soggiorno negli Stati Uniti rimase impressionato da come il baseball e il football americano coinvolgessero la gente. Divise dai colori sgargianti e tutti che allo stadio le indossavano. Con il presidente di quella Roma si decise di portare in Italia il modello USA. In piena notte, intorno alle 4, scarabocchiando con una matita sul blocco note mio padre disegnò il Lupetto”. Le idee migliori sono semplici intuizioni.
A metà stagione 78/79 arrivò sulle divise della Roma. Lo storico rosso lasciò il posto alla maglia ghiacciolo: “Ricordo tante critiche. Si dava più spazio al bianco e all’arancione. Una vera rivoluzione che non piacque agli addetti ai lavori. La squadra non faceva risultati e i giornalisti se la prendevano con le maglie. Pensassero a vincere invece che a vestirsi bene, ripetevano tutti”.
I guadagni del club erano ridotti. Serviva una svolta, la chiave fu la nuova brand identity: “De Sisti prestò a mio padre la divisa di Overath, giocatore della Germania Ovest. Ci teneva particolarmente perché fu scambiata dopo Italia-Germania 4-3 del 1970. Gli serviva per capire i materiali da utilizzare per le nuove maglie. La 12 del giocatore tedesco restò a casa nostra per anni. De Sisti era disperato, pensava di averla persa”.
Intanto la Roma passa a Dino Viola e nel 1980 arriva il primo trofeo del Lupetto: “La squadra vinse la Coppa Italia, ma quel logo non convinceva il nuovo presidente. Voleva cambiarlo a tutti i costi. Non gli andava giù che fosse stato Anzalone a volerlo. Provò a chiedere delle modifiche a mio padre, ma non ne volle sapere. Come fai a cambiare la ruota? Se una cosa funziona, non puoi modificarla”.
Piero Gratton era un genio. Ha creato il Gallo del Bari, l’Aquila del Palermo. Probabilmente anche una di quelle usate dalla Lazio: “Qui c’è una disputa aperta – afferma Michelangelo -. Ci fu un accordo fra Pouchain, imprenditore che forniva le maglie anche al club biancoceleste, e mio padre. Lavoravano insieme e quindi potrebbe aver disegnato qualcosa. Ma Piero Gratton non aveva alcun legame diretto con la Lazio, anzi. Era un romanista convinto”.
Nel suo lavoro ambiva alla perfezione. Rispettare le aspettative non era semplice: “Per certi aspetti è stato anche un padre scomodo. Quando porti un cognome pesante hai sempre un’etichetta e un’asticella da raggiungere. La sua figura era anche ingombrante. Difficilmente si complimentava per un lavoro fatto da me”. Non solo calcio. Gratton ha lavorato in tv, per il Monopolio di Stato, per aziende private. Non si è fatto mancare nulla: “Il suo unico rimpianto è non aver colorato un aeroplano. Si vedevano solo aerei bianchi ai suoi tempi. Sognava di veder volare un suo disegno”.
L’artista ci ha lasciati lo scorso 3 aprile. Forse anche per questo la Roma ha deciso di omaggiarlo riportando il Lupetto sulle maglie e il modello ghiacciolo: “Mio padre sarebbe stato felicissimo. È come se fosse tornato a vivere. Il Lupetto è eterno, come il suo ricordo che vive nel cuore dei romanisti. Per la gente comune quel logo ha un valore inestimabile. Sapere che è tatuato sulla pelle dei tifosi e qualcuno lo indossa come collana a cui tiene mi rende orgoglioso di papà”. Piero Gratton coi piedi per terra e una matita ha avverato un sogno. Non è riuscito a colorare il cielo, ma ha cambiato per sempre la storia del club che amava. A volare erano la sua mente e le idee. Come quando in una notte insonne con un foglio scarabocchiato ha creato uno dei simboli eterni di Roma.
Credit foto: Archivio AS Roma/Fondo Piero Gratton.