29 anni senza Dino Viola, l’uomo che ha cambiato la Roma
“La Roma non ha mai pianto e mai piangerà. Perché piange il debole, i forti non piangono mai”. A Dino Viola, abbattersi non è mai piaciuto. Ha portato la Roma tra le grandi, l’ha condotta in una dimensione che, tutto sommato, non ha mai più abbandonato i colori giallorossi. La Roma a lottare con la Juventus, con le milanesi e con le grandi d’Europa? Chi ci avrebbe mai creduto… Di sicuro, Dino Viola lo ha fatto.
Durante la sua presidenza, tra l’estate del 1979 e il 19 gennaio 1991 – giorno della sua scomparsa – ha infatti portato nella capitale uno Scudetto e quattro Coppe Italia. Cinque, se si conta anche quella del ’91, arrivata pochi mesi dopo la sua morte sotto la presidenza della moglie Flora. Senza contare la finale di Champions League del 1984, ancora oggi punto più alto mai raggiunto in ambito europeo nella storia della Roma.
La nascita dell'amore giallorosso
Un romano acquisito, nato a Terrarossa ma con la Roma nel destino. “Perse la madre quando era molto giovane, e a Roma c'era suo fratello maggiore Ettore che gli faceva da padre. Così, mio papà andò nella capitale da molto piccolo” ha dichiarato a GianlucaDiMarzio.com Ettore Viola, uno dei tre figli di Dino insieme a Riccardo e Federica. “I colori giallorossi gli davano gioia e allegria già a 11 anni, vederli per strada era motivo di curiosità e attrazione. La sua fede quindi nacque da giovane, seguì la squadra da subito. Fin da quando conobbe mia madre, ogni occasione era buona per andare a vedere la Roma”.
Una vita spesa per i colori giallorossi, un sogno diventato realtà con l’acquisto della società: “Prima era un tifoso, ma aveva sempre avuto il desiderio di diventare imprenditore industriale per comprare la Roma. Quando nel ‘68 ci fu il passaggio di proprietà da Evangelisti a Marchini, con Ranucci presidente, mio padre ci rimase un po’ male. Disse: ‘Volevo essere io al suo posto’. Dopo però divenne consigliere con Evangelisti, con Marchini, e poi vicepresidente con Anzalone, da cui acquistò finalmente il club. Per lui comprare la Roma fu il coronamento della propria attività imprenditoriale. Quando ci riuscì fu la persona più felice del mondo. Non lo prese come un hobby, ma come la realizzazione di un sogno”.
L'affetto di un padre verso i giocatori
Un sogno che coinvolgeva ogni singolo giocatore, trattato da Dino Viola proprio come un figlio. Odoacre Chierico, campione d’Italia con la Roma e giocatore giallorosso dall’’81 all’’85, lo ha confermato ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com: “Dino era il mio presidente, un padre per tutti noi. In quegli anni le gestioni delle squadre erano più a livello familiare, oggi invece sono tutte grandi aziende. Lui era il nostro padre di famiglia e noi la sua squadra di figli, venivamo trattati ognuno allo stesso modo. Si era creato un gruppo fantastico, compreso tutto lo staff: gente sempre pronta per una buona parola, di conforto nei momenti difficili. Una figura come quella di Dino oggi si è persa, ma sono cambiati i tempi e non è colpa di nessuno. Certo, sono cambiati in peggio. Spesso nelle società ci sono manager che non hanno mai vissuto certe esperienze”.
“Tutto ciò è rimasto un po’ nelle piccole squadre: fanno gruppo e ci mettono sempre il cuore, arrivando ai risultati anche senza giocatori di prima fascia. In quei casi il presidente è più presente” ha continuato Chierico. “Viola era sempre a Trigoria, si faceva il suo giro di campo mentre noi ci allenavamo e poi spendeva una parola per tutti. Era presente agli allenamenti, nelle trasferte, nei ritiri e nello spogliatoio. Anche Donna Flora, sua moglie, era una figura emblematica. Veniva sempre in ritiro con la sua distinzione, aveva il proprio modo di essere presente. Senza emergere, senza cercare di primeggiare. Una grande donna vicino a un grande uomo. Una famiglia che anche con i figli si è sempre distinta per semplicità, umiltà e grandi doti umane”.
Il rapporto con la famiglia
Ma se con i propri giocatori si approcciava da padre, da padre come si comportava con i propri figli? “Era esigente, ci seguiva negli studi con meticolosità” ha affermato suo figlio Ettore. “Era ingegnere meccanico e quando poteva aiutarci in matematica era molto felice e soddisfatto. Noi lo eravamo un po' meno, anche perché ci interrogava ed era abbastanza pretenzioso. Il suo grande rapporto con i giocatori è vero, lo curava a 360 gradi. In quella Roma c'era un'organizzazione incredibile: ginecologo, dentista, consulente del lavoro… I giocatori e le loro famiglie potevano risolvere qualsiasi tipo personale di problema. Per lui la serenità dei giocatori era fondamentale per vincere, così come il concetto di gruppo”.
I colori giallorossi al primo posto
La Roma, insomma, Viola la portava ogni giorno con sé. Anche tra le mura di casa: “Era come se all’improvviso fosse aumentata la famiglia. La Roma era oggetto di discussione giornaliera già da quando papà era consigliere o vicepresidente, figuriamoci quando diventò presidente…”. La scelta stessa di acquistare il club, Dino la anticipò prima ai propri cari: “Ci mise al corrente della sua voglia di comprare la Roma durante un consiglio di famiglia. Ufficialmente acquistò il club nel '79, ma di fatto lo aveva comprato già un anno prima. Al momento della firma con Anzalone, però, uscì fuori il terreno di Trigoria che creò un po' di disagio nella trattativa, perché mio padre non considerava lo sforzo sul centro sportivo in quel momento necessario. Voleva pensare di più a rinforzare la squadra”.
“Questo mandò tutto all'aria, anche se lui aveva già "prenotato" l'acquisto di Pruzzo, che fu ufficializzato da Anzalone ma con mio padre che ne fissò il prezzo con Moggi, finendolo di pagare personalmente quando diventò presidente. Allora, costruì anche Trigoria. Forse un po' troppo in fretta, ma fece anche questo sacrificio” ha raccontato Ettore. “Da lì in poi cedette le sue attività imprenditoriali per stare a Trigoria a tempo pieno. E soprattutto lo fece senza guadagnarci un soldo. Lui, io, mio fratello, mia sorella e mia madre Flora eravamo tutti a costo zero. Anzi, a nostre spese. Oggi invece ci sono presidenti di cui addirittura le mogli o i figli prendono la retribuzione… Lui era più a Trigoria che in famiglia, ma per certi versi eravamo presenti anche noi lì. Fu un miracolo calcistico, fatto di incredibili successi. Si sfiorò addirittura la vittoria della Champions e fu una cosa clamorosa”.
La reazione dopo Roma-Liverpool
Quella Champions giocata in finale all’Olimpico e volata via per un soffio, ai calci di rigore: “Contro il Liverpool eravamo vicini di posto, ha vissuto quella partita come la fine di un sogno. Era convinto che se avessimo giocato in campo neutro l’avremmo vinta. A Roma c'era troppa aria di successo, troppa festa, troppa voglia e sicurezza di vincere. Il Liverpool era uno squadrone, mi ricordo che entrarono in campo cantando. La Roma invece era abbastanza tesa. Fu una sconfitta dura, ma mio padre la digerì piuttosto bene, tanto che un mese dopo vinsero la Coppa Italia. La squadra reagì alla grande, sfido chiunque a farlo dopo una batosta del genere. C’era voglia di riprendersi, e così fu. Chiaramente ci siamo rimasti tutti male, ma la Roma di allora era di una bellezza incredibile”.
E pensare che Ettore, per la finale contro il Liverpool, fece la fila per i biglietti insieme ai propri amici: “Mio padre amava così tanto i suoi giocatori che a loro dava i biglietti senza problemi, mentre io avrei faticato un po’ per procurarmeli. È vero che alla fine sarei entrato lo stesso, ma lo feci anche per solidarietà verso i miei compagni. C’era una coda lunghissima, io avvisai solo mio padre di aprire i botteghini perché eravamo davvero troppi”.
I duelli con la Juventus
Per un sogno Champions svanito, c’era però la consapevolezza di essere finalmente entrati nel mondo dei grandi. Soprattutto in Italia: “Mio padre voleva gareggiare con la Fiat già da imprenditore, e poi anche con la Juventus da presidente. Quindi fece entrare nel consiglio Cesare Romiti, ex a.d. della Fiat, e prese l’avvocato sempre della Fiat come consigliere d’amministrazione della Roma. Cercò di mischiare un po’ le carte, aprendo la guerra con l’obiettivo di lottare con la Juve. E sinceramente ci è riuscito tante volte, nonostante le difficoltà. Come disse lui stesso, infatti, quando entrammo nel mondo del calcio ci consideravano tutti simpatici. Poi però, dopo i grandi acquisti e le vittorie, ci guardavano diversamente”.
Il rispetto, dunque, Dino Viola se lo era guadagnato eccome. E lo aveva fatto solo per la sua squadra del cuore, quella di cui si era improvvisamente innamorato a 11 anni ammirandone i colori per le strade: “Un’altra cosa che dimostra il suo amore è questa: mio padre non ha mai minimamente pensato di vendere la Roma. Né al miglior offerente, né al peggiore. Guai a chi provava ad avvicinarsi alla Roma. Era gelosissimo, permetteva quasi solo al nucleo familiare di avere un certo rapporto con i giocatori. Era presente 24 ore su 24, con l’unico obiettivo di vincere il più possibile”.
L’acquisto di un giovane Totti
Un occhio di riguardo, poi, Viola lo poneva anche verso i giovani: “Ai suoi tempi anche il vivaio produsse tanti giocatori importanti, papà aveva capito la loro importanza”. Fra tutti, anche un certo Francesco Totti: “Lo prese dalla Lodigiani, dato che aveva un ottimo rapporto con le squadre collegate alla Roma. Lo vide crescere, era già un campione da ragazzino. Mio padre lo prese e predisse tutto: 'Mi parlano tutti bene di te, sono certo che farai una grande carriera' confessò a Francesco. Capiva davvero tanto di calcio”.
“Dicono che la gestione familiare di mio padre fu propria di quel periodo. È vero che sono passati tanti anni, ma oggi ci sono anche presidenti come De Laurentiis, Lotito, Ferrero, Pozzo…” ha proseguito Ettore Viola. “Mio padre avrebbe vinto anche di questi tempi, perché per ambizione, trasparenza e contenuto non si sentiva inferiore a nessuno. Avevamo una delle migliori squadre al mondo”.
La questione stadio
E per essere un top club, oggi, c’è anche tanto bisogno di uno stadio di proprietà. Necessità che Dino Viola, già ai suoi tempi, era stato in grado di cogliere: “Mio padre voleva costruire un nuovo impianto, disse che se fosse rimasto Petroselli come sindaco ci sarebbero riusciti perché erano entrambi determinati. Avevano già capito quanto fosse importante per una squadra di calcio dotarsi di una propria casa. Senza grattacieli, senza supermercati. Un semplice stadio di proprietà”. Che, alla fine, potrebbe diventare la priorità di un possibile nuovo acquirente della Roma. A cui Ettore ha voluto dare un prezioso consiglio:
“A volte la storia insegna. Se venisse qualcuno e dedicasse un po' di tempo a studiare cosa sia stata la Roma negli anni precedenti, come per esempio quella di Viola o di Sensi, forse potrebbe capire cosa siano Roma, la Roma e i tifosi della Roma. Servono rispetto reciproco ed equilibrio, ma soprattutto serve essere più presenti con la squadra. Si dovrebbero fare pochi acquisti a stagione, ma forti. E poi dimenticarsi per i primi anni delle plusvalenze, e pensare che se a Roma si fa un calcio fatto bene, la Roma non è seconda a nessuno”.
L’approccio nella comunicazione
Un presidente chiaro, elegante, positivo e disponibile. Trasparente e coraggioso, anche nel modo di comunicare. Un presidente che ha fatto alzare il volto di una squadra, lottando per amore contro chi prima sembrava invincibile. Senza mai piangersi addosso, e con la propria famiglia allargata sempre al primo posto: “I tifosi ci danno la loro fede, e noi gli dobbiamo dare il nostro carattere”. Frase che, soprattutto se pronunciata dopo una pesante uscita dalla Coppa delle Coppe contro il Bayern, fa un certo effetto.
La messa in sua memoria si terrà a Roma, domenica 19 gennaio, nella chiesa di San Roberto Bellarmino, alle 20.15. I tifosi giallorossi risponderanno sicuramente presente.
“Nella vita non si può sempre vincere. Sono le cadute che ci fanno risorgere, le avversità aumentano la voglia di andare avanti. Ai nostri meravigliosi tifosi voglio dire: siate sereni come noi, nulla è perduto. Noi non ci arrenderemo mai”. Parola di Dino Viola, l’uomo che ha cambiato la storia della Roma.
A cura di Stefano Renzi