Un po’ Fantozzi, un po’ Keynes, perché il tifo… non ha prezzo: l’ “altro” calciomercato tra tesori immaginari e trofei virtuali
«Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande “perditore” di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto – dico otto! – campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d’acquisto della lira, fiducia in chi mi governa… e la testa, per un mostro, ehm, per una donna come te! Ridete! Ridete pure! Ma ride ben, chi ride ultimo! Dite quel che volete, ma io sono un uomo proprio riuscito! Vabbè, riuscito magari no, ma diciamo almeno che sono fortunato! Che cosa mi manca? Io ho tutto: ho una bellissima casa ad equocanone, in fondina un telecomando a 99 canali, una figlia meravigliosa… ehm, meravigliosa! E una moglie fedele! Io sono il più felice di tutti! Ho voglia di giocare, spostati Mariangela! Sono for-tu-na-ti-ssi-mo!!!».
(Ugo Fantozzi).
«Il vincitore è un sognatore che non s’è mai arreso!».
(Nelson Mandela).
«Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere il tuo entusiasmo».
(Winston Churchill).
Sintetizzando e spremendo assieme questi tre aforismi si ottiene il succo del successo, specie per un italiano: fantasticare oltre ogni batosta clamorosa, credendo sempre di potercela fare. Per questo il calciomercato è una delle materie che più appassionano, stuzzicano la fantasia, coinvolgono, suscitano emozioni e paure in un appassionato di calcio. Per alcuni sembra essere perfino più interessante del calcio giocato, come se l’attesa del piacere, oltre a essere essa stessa piacere, fosse addirittura superiore a esso. Nelle attese del calciomercato sublimano i sogni del tifoso, senza che questi abbiano a sporcarsi scontrandosi con la dura, erbosa, realtà del rettangolo verde. E, soprattutto, si estrae e si accumula il carburante essenziale di ogni uomo: la speranza! Come in una favola, in un gioco di società o in una centrale elettrica, l’accumulo di potenziale è rassicurante per il sostenitore, perché rappresenta una riserva calda di energia che garantirà benessere alla bisogna.
Cioè: sognare l’acquisto di Cristiano Ronaldo equivale a sognare di poter accumulare una grossa somma di denaro, o scorte di cibo prelibato, insomma, un tesoro immaginario e immaginifico che accresce virtualmente la possibilità reale di trionfi. E a costo zero, perché il tifo, si sa, non ha prezzo. Come diceva Paolo Villaggio, il calcio è in assoluto il pensiero più importante dell’italiano standard, perché gli dà le stesse emozioni del sesso senza costringerlo a faticare per ottenerle. Gli basta piazzare un tavolino davanti al televisore, farsi una frittata e una birra, per vivere un raro momento di assoluta, totale, dispotica felicità.
Il tifoso medio diventa, nel mercato, oltre che un esperto di calcio, opinionista e manager, un vero e proprio broker, un Gordon Gekko del soccer.
Viviamo in una società governata da formule economiche complesse, da derivati, quantitative easing, volountary disclosure, edge funds, venture capitals. Tradotte in italiano, effettivamente, queste formule perdono un po’ del loro fascino magnetico, un po’ come Tom Cruise che diventa Tommaso Crociera, o Nicola Gabbia per Cage, Vincenzo Gasolio per Vin Diesel e Giacomo Legame per James Bond. “Mi chiamo Legame! Giacomo Legame!”, non funzionerebbe nemmeno in un film di Claud Bee (Claudio Bisio).
John Maynard Keynes (Giovanni Mainardo Chiavato), uno dei maggiori economisti di tutti i tempi, nella sua “Teoria Generale dell’Occupazione, dell’interesse e della moneta” scriveva così: “Ho intitolato questo libro ‘Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta’, insistendo sull’aggettivo ‘generale’. Lo scopo di tale titolo è di contrapporre il carattere dei miei ragionamenti e delle mie conclusioni a quelli formulati nella stessa materia dalla teoria classica. Dimostrerò che i postulati della teoria classica si possono applicare soltanto a casi particolari e non a quello generale, poiché la situazione che essa presuppone è un caso limite delle posizioni di equilibrio possibili. Avviene inoltre che le caratteristiche del caso particolare presupposto dalla teoria classica non siano quelle della società economica nella quale realmente viviamo, cosicché i suoi insegnamenti sono ingannevoli e disastrosi se si cerca di applicarli ai fatti dell’esperienza!”.
Qual è questa teoria classica che sta così antipatica al buon John? È quella per la quale un equilibrio costante tra domanda e offerta. Ovvero che tutto ciò che può essere prodotto sarà anche automaticamente venduto. Cioè per il “liberismo classico”, il mercato si autoregola, si equilibra da solo e senza bisogno alcuno di un intervento “pubblico”, statale. Per Keynes questo automatismo non funziona e l’unico strumento per stimolare la domanda è proprio la spesa pubblica.
Il calciomercato non sfugge a queste dinamiche! La teoria classica del calciomercato dice che se l’Inter cerca un esterno d’attacco, per esempio, il Barcellona darà automaticamente Deulofeu. Però poi arriva John Jindong Keynes Zhang e dice che non si può fare senza un suo intervento diretto.
Facendo un passo indietro arriverebbe Adam Smith: “Tutto funziona benissimo e si autoregola, perché ogni singolo individuo fa quel che è meglio per sé!”. E John Nesh (quando si chiamano John, in economia, non sono mai d’accordo con le teorie dominanti!) lo rimprovera subito: “No! C’è un equilibrio! Se ognuno fa quel che è meglio per sé ci perdono tutti! Ognuno deve fare quel che è meglio per sé e per il suo gruppo di appartenenza!”. Il Milan vuole liberarsi di Gomez e prendere Jankto e pensa che questo sia il meglio per sé? Però il Boca non paga Gomez e l’Udinese non vende Jankto adesso. Allora cosa succede? Che il Boca si arrangia, mentre Milan e Udinese fanno quel che è meglio per loro “assieme”.
Insomma: una volta dimostrato che il prefisso “calcio” non cambia le regole del mercato e tolta la patina di mistero data dalle supercazzole inglesizzanti per addetti ai lavori (che a Wall Street chiamano “prematured superdickers”), rimane da dipanare il mistero più fitto, quello del perché il Signor Mario Rossi, brillante idraulico della lomellina, non abbia fatto l’agente o il procuratore, date le sue caleidoscopiche competenze in materia di trasferimenti milionari. Se un bancario che ha speso la maggior parte della sua vita scolastica tra un bar e un campetto da calcetto, dopo aver frequentato sei o sette corsi di fini diciture keynesiane, può gestire i risparmi di una vita di un Pinco Pallino qualunque, anche un qualsiasi cameriere potrà ben fare il procuratore, in fondo! Servono solo un’attitudine positiva, ottime doti relazionali, qualche corso di superdickers with unchapplement on the right e il gioco è fatto. O no?
Se ci fosse una laurea in “Calciomercato”, l’Italia sarebbe il popolo con la maggior percentuale di laureati dell’Unione Europea, i ragazzi studierebbero tantissimo, tanto che le mamme direbbero loro: “Esci ogni tanto! Vai a bere un bicchiere, a cercarti una ragazza!”. E loro: “Zitta, che Ramires ha stellinato l’Instagram di André Silva!”. Ci sarebbe l’indirizzo “tifosi procuratori”, cioè quelli che contestano le scelte di società e giocatori, in virtù delle loro ben più elevate, per quanto inspiegabilmente inespresse, capacità manageriali. Le lezioni si terrebbero online, su Twitter: “Tizio è solo uno che fa bene il suo lavoro!”, esclama @procuratore1. “Sì, però anche un rapinatore che non si fa beccare è uno che fa bene il suo lavoro!”, gli risponde @direttoresportivoX. Spiegano agli altri dove sono i famosissimi KPI (Key Performance Indicators) delle loro squadre del cuore, cioè danno le informazioni necessarie per determinare come un’organizzazione possa meglio raggiungere i propri obiettivi.
Non ci sono regole in questo mondo fulmineo, che tien dietro al baleno. L’innovazione viaggia sui social e le persone inseguono sogni, siano esse di calciatori, vite o professioni parallele o, magari, solo di dieci minuti di felicità, senza frittatona di cipolle, anche perché sempre meno mogli sono disposte a prepararle, ma con un po’ di hastag in più.
Andrea Bricchi
(@andreabricchi77)