Il segreto della Real Sociedad: un metodo unico per la cantera
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Data: 22/11/2021 -

Liga, se la Real Sociedad vola non è grazie alla prima squadra

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La miglior cantera di Spagna sta raccogliendo i frutti di un lavoro che parte da lontano
La miglior cantera di Spagna sta raccogliendo i frutti di un lavoro che parte da lontano

Un piccolo riassunto per chi si fosse perso qualcosa in questo inizio di stagione di Liga: l’Atlético delle stelle ancora non brilla, il Barcellona naviga in mezzo alla tempesta e il Real Madrid resta alla ricerca del miglior equilibrio. Insomma, in Spagna sembrerebbe l’anno perfetto per un’outsider. E la Real Sociedad l’ha capito perfettamente: i baschi hanno perso solo la prima partita della stagione e viaggiano sull’onda di 17 risultati utili consecutivi. Il secondo posto momentaneo, con la vetta persa solo nell’ultima giornata, è il logico premio a questa straordinaria continuità. Un déjà-vu per chi si ricorderà che già nella scorsa stagione i txuri-urdin avevano passato sei giornate in cima alla classifica. 

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La miglior cantera in Spagna

Non ce ne vogliano gli Oyarzabal, Silva, Isak, o Merino, ma sarebbe ingiusto dire che è solo grazie a loro se la Real attualmente dà del tu ai giganti producendo un decimo del loro fatturato (circa 80 milioni). Perché il lavoro che gli ha permesso di essere lì parte da molto lontano. In una parola, che di significati ne raccoglie tanti, da Zubieta, il centro sportivo dove la Real ogni giorno fa sì che il proprio settore giovanile sia il migliore di Spagna.

Nulla di soggettivo, solo dati: la prima squadra è composta da 18 giocatori cresciuti nella cantera donostiarra e quasi tutti sono reclutati dalla sola provincia basca di Guipuzkoa, la più piccola del Paese. Imanol Alguacil, l’allenatore nato a 15 minuti proprio da Zubieta, ne ha già fatti debuttare cinque in questa stagione, più di ogni altro collega. Lo scorso anno, nella finale vinta della Copa del Rey, ben otto dei giocatori scesi in campo erano cresciuti a Zubieta.

Persino la formazione B, il Sanse, sta avendo un rendimento altissimo: è l’unica seconda squadra in Spagna a giocare in seconda divisione. Farlo, poi, nonostante gran parte dei tuoi giocatori siano destinati ad ascendere continuamente alla prima squadra rende il risultato ancora più straordinario. “Il Sanse è solo l’ultimo step del lavoro che si fa a Zubieta. È come una linea di produzione e a noi tocca prepararli al meglio per arrivare alla prima squadra”, ha detto l’allenatore Xabi Alonso a The Athletic, sottintendendo che, purtroppo, neanche a lui si possano ascrivere tutti i meriti di questa scalata.

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“Un modello identitario”

Se fra il 2002 e il 2021 hanno esordito in prima squadra 71 giocatori cresciuti Zubieta, il 7% di quelli passati dalla cantera (altro che uno su mille…), non può essere nemmeno grazie alla brezza di mare che entra in città dalla baia della Concha. Dietro c’è un modello fatto di grande amore e ancor più grande professionismo.

Un “modello identitario”, come lo descrive Roberto Olabe – direttore sportivo, ma anche ex giocatore e allenatore della Real – che punta a creare una linea di successione costante fra le squadre del club, il quale si autosostenta sviluppando giocatori con caratteristiche definite, ma che possano anche adattarsi ad ogni tipo di contesto.

“Facciamo un lavoro da artigiani. Non conosco nessun architetto, designer o muratore di 12 anni. Lo stesso vale per i calciatori”, ha spiegato Olabe a El País. Un’idea che si traduce in una crescita a fuoco lento. “Se sbagliamo, sbagliamo noi”, e allora ai giocatori si dà un minimo di due anni e mezzo di permanenza dal loro ingresso a Zubieta, così che abbiano tutto il tempo per esprimere le loro potenzialità (la permanenza media, però, adesso è di sette anni e mezzo). Allo stesso modo, per evitare tagli feroci, le squadre giovanili raccolgono solo il numero minimo e indispensabile di giocatori. 

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Quello che non si riesce a plasmare a Zubieta si prende dal mercato con operazioni mirate. Come il trequartista David Silva, o i soli cinque stranieri presenti in prima squadra (fra i quali spicca la stellina svedese Isak). Una prassi che ricalca anche la storia del club, che fino al 1989 aveva fatto vestire la propria maglia a solo cinque calciatori non nati in Spagna, e che nella sua epoca più gloriosa (gli anni 80’, quando vinse due campionati e una supercoppa) giocava con soli giocatori baschi. 

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“Giochiamo come siamo”

I pochi eletti che varcano la soglia di Zubieta entrano in una fabbrica di talento curata come nessuna. La Real è stata un club pionieristico nell’assumere per le proprie giovanili, nel 1996, professionisti qualificati che in altre realtà potrebbero mancare anche alla prima squadra. Si parla di analisti di big data, applicati sia alle performance di gruppo che individuali, psicologi, o dietologi. Molti di questi sono canterani che non sono riusciti a diventare calciatori, ma che sono tornati alla base dopo essersi specializzati.

E accanto al miglioramento delle performance, il club si incarica dello sviluppo personale dei ragazzi. Seguendo il modello “Giochiamo come siamo”, motto delle giovanili, i giocatori sono seguiti nel percorso scolastico e di sviluppo extracalcistico. Valori che, se ben trasmessi, ti si attaccano addosso, come dimostra il fatto che la stella della prima squadra, Mikel Oyarzabal, abbia una laurea in economia aziendale, mentre Ander Guevara, Martin Zubimendi e Ander Barrenetxea stiano attualmente affiancando alla loro carriera sportiva quella accademica.

Economia verde

La pianificazione paga, e non solo quando si vendono i vari Griezmann, Ilarramendi o Odriozola. Preso in mano in uno stato di rovina dal presidente Jokin Aperribay nel 2008, da quel momento ad oggi il club ha chiuso tutti gli esercizi in attivo. Tranne l’ultimo, che per colpa della pandemia avrà un saldo negativo di 4,5 milioni. Anche perché la Real buona parte dei soldi che la Liga ha iniettato nel sistema grazie alla vendita dei diritti al fondo CVC li spenderà in un nuovo stadio per il Sanse. Si guarda sempre oltre l’orizzonte.

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Il premio c’è già

Sono tutti questi passaggi, eseguiti giorno dopo giorno con la massima cura, che fanno sì che la Real, oggi, stia dove sta. Ed è lecito chiedersi se, nell’anno perfetto per un’outsider, la terza Liga della sua storia non sarebbe un premio meritato per tutti questi sforzi, per l’amore che a San Sebatián si dà a ogni giovane che passa per Zubieta. Ma la verità è che gli “artigiani” del calcio non sono qui per costruire trofei, ma per plasmare futuro e valori. E nello spietato universo calcistico del tutto-e-subito alla Real Sociedad non serve ricompensa maggiore di questa.

 

Tags: Liga



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