Era il 2004 e il Barcellona non se la passava bene. Era il primo anno della presidenza Laporta dopo la gestione Gaspart, che di titoli non ne portava da quattro anni. La distanza dal Real Madrid era tanta, quando si arrivò a quel Clásico di fine stagione, perché nella prima parte i blaugrana avevano buttato via troppi punti. Gli schermi del Bernabéu dicevano 1-1 quando un ragazzino, tale Xavi, segnò il gol vittoria, marcando un punto di svolta nella storia di un Barça che di lì a poco si sarebbe riscoperto vincente. Ricorda qualcosa? Forse più di qualcosa.
Le similitudini con il Barcellona di oggi sono tante, la differenza è una: la fa sempre Xavi, ma questa volta dalla panchina. Non fatevi ingannare: anche oggi era un Clásico, nonostante i blancos fossero neri e i blaugrana giallorossi. Era il primo di Xavi come allenatore in Liga. Scusate, possiamo anche iniziare a dire Allenatore, con quella lì maiuscola, perché il modo in cui ha ridato la vita al Barça è degno di una cerchia di pochi eletti. La vita e la vittoria, che nel duello contro il Real Madrid mancava dal 2019. E che lusso farla tornare nel Bernabéu, lo stadio che con il PSG aveva rafforzato la narrativa del “qui per noi tutto è possibile”. Tutto, meno battere questo Barça.
Dietro lo 0-4 c’è un Real Madrid che, senza Benzema, si è fatto impartire una lezione di calcio dai ragazzi terribili di Xavi. Seduto in panchina o immobile a braccia conserte nell’area tecnica, l’espressione di Ancelotti ha trasmesso fin da subito il disappunto di non poter far nulla per raddrizzare la serata. Ha messo Modric falso nove — forse sopravvalutandone l’onnipotenza mostrata negli ultimi tempi — Kroos alto a pressare, Valverde basso vicino a Casemiro, ha inserito punte, esterni, mediani, giocatori della cui esistenza c'eravamo dimenticati, e il Barcellona rimaneva lì a cercare nuovi modi per distruggerlo. Mors tua vita mea, nel Clásico è così.
Nuovi interpreti, vecchie maniere
Il più nuovo dei modi è stato affidarsi ad Aubameyang, che al Barça ci gioca da meno di due mesi, ma sembrano due anni. Era il pezzo del puzzle che mancava a Xavi. Fa sembrare tutto semplice: sono nove i gol in undici partite in blaugrana — oggi due e, per gradire, un assist di tacco. Una cifra scandalosa, soprattutto se pensiamo che gli ultimi nove gol con l’Arsenal li aveva segnati nella bellezza di nove mesi. Molto più regolare contro il Real Madrid, a cui segna da cinque partite consecutive. Il Clásico, in fondo, è soprattutto questo: tradizione.
Non ha segnato, ma è stato Ousmane Dembélé a generare il gol dell’1-0. Curioso: avevano detto che gli avrebbero destinato un posto in tribuna se non avesse rinnovato. La sua prestazione conferma come sarebbe stata un’idea da pazzi. La firma non è arrivata, ma il francese è ancora lì a fare il diavolo sulla fascia, quando sta bene. Segno che in Xavi non viva solo un genio tattico, ma anche un gran gestore di uomini. Non è per tutti riabilitare un giocatore in partenza, specialmente se eri stato tu a scaricarlo pubblicamente.
Con questa vittoria il Barcellona se ne fa poco, oggi. Aggiungendo tre punti virtuali dal match che deve recuperare sarebbe secondo, ma il Madrid è davvero troppo distante per insidiarne il primato. Proprio come in quel 2004, quando Xavi segnò un gol che illuminò il cammino futuro del Barcellona. Oggi l’ha fatto di nuovo, ma dalla panchina, in una notte a cui dedicheremo molte pagine quando scriveremo la sua storia da allenatore, in futuro.