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Data: 02/04/2018 -

Quando il Vicenza spaventò il Chelsea di Vialli e Zola. Luiso e Zauli: “Abbiamo vissuto una favola. E se ci fosse stato il Var…”

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Capiterà anche a voi di sfogliare qualche album del passato. La copertina plastificata, la pagina grande e la foto. Usava così, prima che gli smartphone diventassero i magazzini della nostra memoria. E sfogliando, vi capiterà di fermare lo sguardo proprio su quell’immagine. Una foto di classe. I vestiti, le posture, ma soprattutto, quelle due ragazze. Le più carine, quelle che vent’anni fa si somigliavano così tanto, che fine hanno fatto?

Nell’album della stagione 1997/98, Vicenza e Chelsea erano accanto e sorridevano. Era aprile. In due settimane si giocavano l’accesso alla finale di Coppa delle Coppe. Andata al Menti, ritorno allo Stamford Bridge. Avevano una storia alle spalle e il sogno di alzare un trofeo a Stoccolma. La più bella della scuola. O d’Europa. Riguardi quella foto e guardi dove sono adesso. Una ha milioni di followers su Instagram, una bacheca piena di trofei e un look strepitoso. L’altra è il Vicenza. Non ride più. È pallida e sta per morire. Fra guai societari, una classifica precaria e giocatori senza stipendio da mesi. E quella ragazza, nata nel 1902, è agonizzante. In bilico fra serie C e sepoltura.

In quella primavera del ’98, invece era radiosa. Due ragazzi la illuminavano. Uno aveva movenze felpate e un’aria vagamente aristocratica, l’altro veniva da Sora con la rabbia di chi è partito dal basso. Lamberto Zauli e Pasquale Luiso non se la dimenticano quella Vicenza di vent’anni fa. “Vivevamo una favola. Ma non era casuale. Gente affamata, società competente e Guidolin in panchina. Giorni speciali.”, ricorda Zauli a gianlucadimarzio.com. Nella gara di andata fece impazzire i 22mila del Menti con il gol della vittoria. Una prodezza che divenne il manifesto di quel primaverile assalto al cielo. “Attaccai la profondità, cosa che non facevo mai. Lancio di Viviani, aggancio volante, doppio dribbling e diagonale strozzato all’angolino. Quando deve andarti bene…”, sospira e si schernisce l’ex trequartista biancorosso, oggi allenatore della Primavera dell’Empoli. Andò bene, ma poteva andare meglio. “Avremmo potuto fare un gol in più, avremmo meritato. Sarebbe tornato utile al ritorno…”.

Vicenza batte Chelsea 1-0. Zauli meglio di Zola, Luiso a secco come Vialli. “Era il mio idolo. Le mie rovesciate erano sue citazioni”, ricorda Luiso ai nostri microfoni. “A fine partita, gli chiesi la maglia. Disse, scherzando, che me l’avrebbe data in cambio della Coppa. Risposi che se la poteva tenere. Alla fine però io ho avuto la sua maglia e lui la Coppa che sognavo”. Il toro di Sora chiude gli occhi e riapre il cassetto dei ricordi. “Ho in mente il percorso per arrivare allo stadio. Le strade vuote, le macchine parcheggiate ovunque, le file ai cancelli. Ricordo che mi affacciai dal tunnel un’ora prima. Era tutto pieno. Tornai negli spogliatoi. Avevo i brividi, li ho ancora adesso”.

Due settimane dopo, 5mila vicentini invadevano Londra, armati di sogni e sciarpe. E quella sfida a Stamford Bridge fu, nel bene e nel male, la partita di Pasquale Luiso. “Atmosfera incredibile. Dopo mezz’ora segnai il gol del vantaggio. Un destro potente su assist di Lamberto e il dito davanti alla bocca. Come Batistuta al Camp Nou nella semifinale dell’anno precedente. Ha portato male a entrambi, magari avrei dovuto pensarci…”, sorride amaro il centravanti, che fu capocannoniere di quella Coppa delle Coppe con otto reti. Avrebbero dovuto essere almeno nove, però. Perché sul finire del primo tempo, dopo il pareggio di Poyet, la premiata ditta Zauli-Luiso confezionò un’altra perla. Cross da sinistra e incornata vincente del numero 9. Uno che parole sue, di testa avrebbe colpito anche una lavatrice. Gol, bandierina alzata. Fuorigioco, secondo il guardalinee. Regolare, secondo le immagini “È il mio rimpianto più grande. Se ci fosse stata la Var, sarebbe stato convalidato. E saremmo andati in finale”. Una sliding door di quella notte e dell’ intero cammino europeo.

Nel secondo tempo, Vialli che di quel Chelsea era allenatore-giocatore, prese per mano i compagni. Un suo cross trovò la testa di Zola, il più piccolo in campo. Brivio fulminato, 2-1. Un colpo di testa, a due passi dalla riga, dell’uruguayano Mendez, unico straniero in campo per il Vicenza, finì clamorosamente alto. Poi Vialli azzeccò il cambio decisivo, mandando in campo il veterano Mark Hughes. Fino alla settimana scorsa è stato l’allenatore dello Stoke City, vent’anni fa fu il carnefice di un sogno. Sombrero su Di Cara e diagonale imprendibile.

Poco più di dieci minuti alla fine, servirebbe un miracolo. O un’occasione. Arriva, ma il destino ha deciso che Luiso quella sera non deve segnare più. “Era l’ultima azione, Schenardi la mise a centro area, mi liberai dell’uomo, volai in tuffo, ma il portiere De Goey la spizzò quel niente per impedirmi di arrivarci”. E Pasquale non ci arrivò. Fischio finale. Il Chelsea a Stoccolma, il Vicenza a casa. Vialli esulta senza gioire e consola il ragazzo che sognava di essere come lui.

Favola finita. Un viaggio di ritorno fra orgoglio e rimpianti. L’illusione svanita. “Eravamo un gruppo pazzesco. Dopo quella batosta abbiamo avuto il coraggio di rialzarci e vincere in casa contro la Lazio una gara decisiva per salvarci”, raccontano in coro Zauli e Luiso.

Nessuno purtroppo può invece al momento salvare questa squadra. E il toro di Sora, che nell’estate del 2016 era tornato a Vicenza per allenare la Primavera, va giù duro. “Questa società è stata l’anticalcio. Carrozzieri che credevano di capire di pallone, gente di ogni tipo. L’anno scorso, dopo l’esonero di Bisoli, la gente mi voleva in panchina, Io ero pronto, conoscevo i ragazzi e anche loro mi aspettavano. Ma i dirigenti soffrivano troppo la mia storia e così ne hanno cancellata una ancora più grande. Sarei entrato negli spogliatoi con la maglia di quella semifinale per far capire a tutti che non potevamo retrocedere. Sono sicuro che ce l’avremmo fatta e oggi, con i soldi della B, sarebbe un’altra musica”.

Pasquale Luiso oggi è un allenatore senza panchina e un uomo a cui hanno strappato un sogno: allenare la squadra che ha amato di più. “L’anno scorso allenavo ragazzi del ’98 e del ’99. Quando li guardavo, rivedevo tutto, soprattutto quella curva che tuonava”.

Forse quei ragazzi sono nati proprio in qualche notte di festa per quel Vicenza di Zauli e Luiso. Sono ragazzi di vent’anni, non meritano di essere orfani di una storia. Anche perché nel 2038 ci sarà sempre un album da sfogliare. Resta solo da capire quali saranno le foto. Un detto vicentino recita così: Dimme chi son ma no me dir chi gera.

Dimmi chi sono, ma non mi dire chi ero. Forse sarebbe meglio ribaltarlo. In bocca al lupo Vicenza!

Tags: Lega Pro



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