Una carriera spezzata, ma c'era un bene più prezioso da proteggere. Felice Natalino, dopo aver raggiunto il sogno di giocare in serie A e in Champions con la squadra del cuore, l'Inter, diede l'addio al calcio: era il 2012. Una cardiopatia l'ha costretto ad abbandonare il campo, ma non il calcio. Natalino si è raccontato nel corso di una lunga intervista concessa a La Gazzetta dello Sport. "I dottori del San Raffaele a Milano mi hanno impiantato un defibrillatore dentro al petto" - racconta l'ex nerazzurro - "Ogni tanto passo una mano dove c’è la cicatrice. Fa la sentinella ai miei battiti e se per caso impazziscono, interviene. In modo drastico. E’ già accaduto un paio di volte: è come prendere una scossa molto forte, resto intontito qualche secondo. Il defibrillatore funziona tipo un interruttore: spegne il cuore per azzerare l’aritmia. Quando riparte, il pericolo è passato. E anche i brutti pensieri"
Tanti sacrifici per coltivare il suo sogno: "Nella mia famiglia lo sport è come l’aria: impossibile farne a meno. Giocavo pure a volley, ma calciare un pallone era un’emozione troppo forte. Passavo ore a ore sui campi, quanti sacrifici fatti da mio padre. Quando sono passato a Crotone, mi portava ogni giorno all’allenamento, poi restava in tribuna. Due ore dopo eravamo di nuovo in macchina sulla via del ritorno: in tutto 220 chilometri. Potevo restare a dormire a Crotone, ma c’era la scuola da finire e mamma preferiva così. Anche con gli impegni calcistici in aumento: a 15 anni finisco in Nazionale di categoria e nel 2009 disputo l’Europeo Under 17 in Germania: finiamo terzi come la Svizzera. Che poi vincerà il successivo Mondiale dopo averci eliminato ai quarti. Io nel frattempo ho cambiato panorama: Inter".
L'Inter la squadra del cuore: "In famiglia tutti nerazzurri. Avevo la stanza tappezzata dai poster di capitan Zanetti. I primi mesi trascorrono veloci, poi passo in Primavera e nelle partitelle marco i big: nasco centrocampista per diventare centrale difensivo, ruolo che preferivo. E a uomo mi toccano i vari Milito, Eto’o, Balotelli. Ecco, quel Balotelli lì non si poteva fermare. Non riuscivi ad anticiparlo, non riuscivi a prendergli la palla, non riuscivi neppure a fargli fallo. E se per caso gli lasciavi mezzo metro, beh era finita: lo vedevi solo dopo che aveva segnato, quando tornava a centrocampo. Era l’Inter di Mourinho, del Triplete. Nell’estate 2010 cambia tutto con una telefonata: “Vai in ritiro con i grandi”. Il nuovo tecnico è Benitez".
L'esordio: "Sono convocato più volte anche per via dei tanti infortuni. Benitez mi adatta sulla fascia. Col Parma a San Siro, mi fa entrare. Papà è in tribuna: quando vede che tocca a me, esce dallo stadio. Troppa emozione, mi ha poi confessato che è rimasto a girovagare intorno al piazzale, ascoltando i rumori dei tifosi, mentre le lacrime scendevano sul viso. Davanti agli occhi gli passavano le immagini di tutte le volte che facevamo avanti e indietro da Crotone. La settimana dopo sono titolare all’Olimpico, contro la Lazio. Gioco bene, poi scivolo e regalo un gol. Peccato. Non ho tempo per riflettere su quello che sta accadendo perché a dicembre accade qualcosa di inimmaginabile: mio zio muore investito col suo gruppo di amici. A ucciderlo è un extracomunitario sotto effetto droga. Una mattanza: perdono la vita 8 ciclisti. Lamezia è sotto shock. Due giorni dopo, il 7 dicembre 2010, entro al posto di Zanetti contro il Werder Brema. L’Inter è qualificata, perdiamo 30, ma debutto in Champions. A fine gara vorrei dire qualcosa in ricordo di mio zio, ma sono troppo scosso e la società non mi manda in sala stampa".
Nella primavera del 2012 lo shock: "L’estate dopo l’Inter mi gira in prestito secco al Verona: con questa formula errata non posso giocare in campionato, ma solo in Coppa Italia. A gennaio preferisco andare a Crotone, in B: l’allenatore è Drago, mi ha lanciato nelle giovanili. Gioco una gara: sostituito alla fine del primo tempo. Poi finisco sempre in tribuna, senza spiegazioni. Tutto strano, a posteriori mia madre dice che qualcuno mi ha protetto dall’alto. In aprile muore Morosini e i medici diventano molto più prudenti. Un mese dopo sono a Roma: sta per scadermi l’idoneità, l’Inter mi ha inserito nella lista per la tournée estiva e sollecita gli esami clinici. Li faccio, tranquillo. Poi arriva il dottore: “Qualcosa non va al cuore. Hai battiti irregolari. Ti dobbiamo fermare e fare degli approfondimenti”. Il giorno dopo salgo a Milano, ripeto i test. Lo specialista dell’Inter mi spiega: “Non ho trovato nulla, ma il referto di ieri è preoccupante”. Passo l’estate ad allenarmi di nascosto, continuo a passare di ospedale in ospedale. Alla fine il responso è definitivo: soffro della stessa cardiopatia di Morosini".
Rischio troppo alto: "Il mio cuore può impazzire, specie sotto sforzo. Se accade vado incontro alla morte. In Italia non posso giocare, ci sarebbe la possibilità di farlo all’estero sotto mia responsabilità. Ne discuto con papà, pensiamo ai tanti sacrifici fatti, ma mamma ci implora di finirla. Un giorno, mentre sono coi miei amici, mi sento male. Capisco che sta per arrivare l’attacco. Vado a Catanzaro, ma non riescono a tenere sotto controllo i battiti. Trasferito d’urgenza a Milano, arrivo al San Raffaele mentre il cuore sta per cedere. Mi prendono per i capelli dopo un’operazione di ore dove m’impiantano il defibrillatore. Durante la degenza mi spiegano che sono stato fortunato: se il problema fosse capitato durante una gara, non sarei qui a parlare. Forse ha ragione mamma: qualcuno da su mi ha impedito di giocare per un anno. Il ritiro l’ho annunciato con una foto messa sui social, ero accanto a Eto’o: “Rimarrà per sempre in me l’onore di aver giocato con dei come lui”. Ho spiazzato anche l’Inter, ancora non aveva detto nulla ai giornalisti".
Contratto da osservatore e scuola calcio aperta a Lamezia Terme: "Certo, mi manca tantissimo il calcio. Oggi posso fare qualche partitella. Spesso sogno San Siro e vedere dal vivo i miei ex compagni è una ferita aperta. Ma sarò in tribuna a Crotone. Paura? No, ho la mia vita, la posso riempire di tante belle cose. Vorrei sposarmi, avere figli. L’Inter non mi ha abbandonato: sarò sempre grato al club. Ho giocato in A e in Champions con compagni eccezionali. Ora ne ho uno solo, sta nel mio cuore e mi regala ogni giorno la cosa più preziosa al mondo: il futuro".