La guerra fredda del pallone si combatte negli Emirati Arabi. Anche se stavolta le ideologie c’entrano poco: da un lato il Qatar, sotto embargo dal 2017, dall’altro i paesi del Gulf Cooperation Council (Oman, Kuwait, Emirati Arabi, Bahrain e Arabia Saudita), un’organizzazione internazionale istituita dai paesi arabi nel 1981 per cooperare tra di loro. Il calcio mette insieme le tensioni trasferendole in una semifinale di Coppa d’Asia, Qatar-Emirati Arabi.
Due visioni del mondo differenti: nel 2017 il Qatar è stato accusato dai paesi del GCC - Emirati in testa - di aver finanziato alcuni movimenti terroristici come l’Isis, al Qaida e Hamas. Doha ha smentito tutto, ma i 5 membri del consiglio hanno imposto un duro ultimatum al paese, tra cui l’allineamento politico agli altri stati, l’espulsione dei militari turchi e la chiusura di Al Jazeera, l’emittente satellitare con sede a Doha.
Il Qatar ha risposto no, da quel rifiuto nel 2017 vive sotto embargo, e nonostante sia uno degli stati con il PIL pro-capite più alto del mondo ha riscontrato diverse difficoltà: la Qatar Airways, storica compagnia di bandiera, non può volare sopra i paesi del GCC e ha aumentato i prezzi dei biglietti, chiudendo 19 tratte. Mentre diverse rotte navali sono state deviate. Un caso internazionale.
IL CALCIO COME RISCATTO
Il Qatar ha spazzato via gli Emirati Arabi di Zaccheroni prendendosi la sua rivincita nel calcio: un 4-0 che ha scacciato un anno di relazioni diplomatiche interrotte e nessun dialogo, perché l'emiro non ha mai accettato quell'ultimatum, tagliando i ponti con tutti i paesi del golfo.
Il Qatar di Felix Sanchez - ex allenatore del Barcellona B - ha raggiunto la finale di Coppa d’Asia proprio a casa degli Emirati, e il primo febbraio giocherà contro il Giappone ad Abu Dhabi. Obiettivo impresa.
Il segreto è nel programma: tutto nasce all’ombra della Torcia, una torre di 300 metri che “sorveglia” dall’alto il centro sportivo dell’Aspire Academy (costato circa un miliardo e 300mila dollari), dove il Qatar sta costruendo i campioni del domani. Fondato nel 2004 per volere dell’ex emiro Al Thani, il centro racchiude decine di campi d'allenamento, uno stadio con l’aria condizionata, un palazzo di vetro con pavimenti di marmo, un centro medico d’eccellenza e diverse aule per le lezioni. Perché l’accademia - oltre a formare giovani calciatori - fornisce anche l’istruzione. Inoltre, negli anni ha ospitato diverse squadre in ritiro, dal PSG al Bayern Monaco.
IL METODO DEL QATAR
Capitolo scouting: Josep Colomer, lo scopritore di Leo Messi, nel 2007 ha fondato “Football Dreams”, un progetto per portare a Doha i migliori talenti asiatici, sudamericani e africani (17 stati coinvolti).
Negli ultimi 12 anni sono stati testati 3,5 milioni di giocatori, ma soltanto in pochi hanno raggiunto l’accademia, proprietaria di tre squadre di calcio europee dove poter mandare i migliori giocatori: si tratta dell’Eupen in Belgio (comprata per 4 milioni di euro e allenata da Makélélé), del Cultural Leonesa in Spagna e del LASK Linz in Austria.
Oggi il Qatar approda in finale per la prima volta e sfida la storia, anche con diversi talenti nati in Africa. Almoez Ali - capocannoniere della Coppa d’Asia con 8 reti - è cresciuto in Sudan e si è trasferito a Doha proprio grazie a Football Dreams. Stesso discorso per Rò-Rò, Fatehi, Alaaeldin, Boudiaf e Khoukhi. I figli dell’Aspire che scacciano l'embargo e vanno in finale a casa del “nemico”.