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Data: 16/04/2019 -

"Pregiudizi, calcio, vita". Nel mondo di Auteri: "Basta una diagonale per farmi sentire vivo"

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La nostra intervista a Gaetano Auteri, allenatore del Catanzaro.
La nostra intervista a Gaetano Auteri, allenatore del Catanzaro.

In numeri – Che l’estate 2018 abbia segnato un nuovo, vigoroso punto di svolta nella gloriosa storia del Catanzaro è asserzione, ormai, quasi tautologica. La data d’avvio dell’ambizioso progetto dell’appassionato presidente Floriano Noto. Squadra nuova, allenatore nuovo. Le Aquile debbono tornare a volare. E se il confine tra bel sogno e solida realtà è spesso labile, soprattutto nel mondo degli stereotipi e del mero risultato… quarto posto nel girone C di Serie C: cinquantotto punti in trentadue partite. Cinquantaquattro gol fatti, ventotto subiti. Calcio verticale e propositivo, 3-4-3 con ripartenze – spesso – da libidine. Marchio di fabbrica incontrovertibile, Gaetano Auteri.

La storia – E’ l’essenza dell’essere…se stessi! Uno sguardo che trasuda un simpatico sorriso, all’apparenza un po’ schivo, senz’altro molto sincero. Tra una dunhill e l’altra. E’ nella dimensione del suo gioco la proiezione (dell’essere) di Gaetano Auteri. Del regista vecchia scuola che fa sempre la cosa meno scontata, degli esterni che macinano chilometri e chilometri, della difesa alta, fin la linea di centrocampo. Brividi e adrenalina…vertigine pura. Paura di cadere? Voglia di volare! (grazie Jova).

“Sai, credo una cosa, forse è un po’ la mia filosofia di vita più che di calcio. Che la vita vera sia nel confronto a viso aperto, alla pari, senza filtri o timori reverenziali. Parli, giochi, vivi, con sana sfrontatezza, senza pensare troppo, senza fare troppi calcoli. A forza di pensar ‘grigio’ siamo diventati pallidi…”. Una riflessione forte, bella, dannatamente vera. Nel mondo della paura e del timore reverenziale (di chi? Di cosa? Del tronista o della velina?) abbiamo essenzialmente perso di vista un aspetto: che fra (speriamo) duecento anni qui, nella nostra vita, non esisterà quel ‘soddisfatti o rimborsati’ con cui ormai tanto abbiamo familiarizzato nell’epoca dei ‘venerdì di shopping’.

“Pensa, io il venerdì pomeriggio facevo l’autostop per andare all’allenamento. Ero un ragazzino, giocavo nelle giovanili del Siracusa. Uscivo da scuola in fretta e furia, spesso nemmeno pranzavo, già all’ora, non potevo stare più di ventiquattrore senza varcar il cancello di un campo da calcio. Perché se vivi di adrenalina non c’è cosa che ti fa star meglio, anche oggi a quasi sessant’anni, non c’è nient’altro che mi faccia sentire così vivo come un cross fatto bene, una diagonale coi tempi giusti, una ripartenza ragionata. Non si può spiegare, meglio così forse…”. Ci son poche cose, d’altronde, nella nostra vita che non riusciamo a spiegarci. Alcune, purtroppo, sono le più brutte. Le altre sono quelle che ci fanno stare davvero bene. Perché se ami davvero quello che fai, non lo spieghi…lo vivi!

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Nonostante tutto. Nonostante il destino spesso, forse fin troppo, si diverta a far piangere il nostro fanciullino A 30 anni ho smesso di giocare. Mi sono rotto due volte il menisco con tanto di erosione della cartilagine. Passavo le giornate con il voltaren in mano. Ho sofferto sì, non tanto fisicamente, perché poi alla fine in un modo o nell’altro il dolore passa. E’ la tristezza di non poter fare ciò che vorresti a tormentarti. Ma in generale comunque non ho grossi rimpianti. Ricordo l’esperienza a Varese con Beppe Marotta direttore sportivo che stava ‘nascendo’ proprio in quegli anni, ricordo gli scout della Juventus che vennero a vedermi in più occasioni, ricordo il trasferimento al Genoa per 1 miliardo e 400 milioni”.

Comincia una nuova vita per Auteri. Allenatore dei portieri. “Non ce la faccio più a star lontano del campo, accetto senza pensarci. Poi, torno a casa, tra me e me ‘allenatore dei portieri? Ma come?’. Firmo a giugno per settembre, passo un’estate intera a documentarmi sugli allenamenti dei portieri. Un mese, due mesi, al terzo… ‘Ragazzi, da domani venite al campo tre ore prima…’. Così finivo con loro e mi mettevo subito a veder la prima squadra. Pensa che sono passati quasi trent’anni…”.

Si colorano di sana nostalgia gli occhi di Auteri. E’ la magia del mar dei ricordi. Ah il mare, già. Qui la magia diventa estasi, emozione. Per ‘mamma’ Sicilia e per venticinque anni di carriera da allenatore al sud. Andiamo a contrario, perché mai al nord? “Le mie spiegazioni ce le ho (sorride). La verità? E’ un mondo limitato! Non si vanno a vedere le sfumature, solo le apparenze. Non c’è cultura, in compenso però viviamo intrisi di pregiudizi…”. Studiamo l’inglese e siamo ormai ‘macchine da guerra’ in termini digitali, come se ciò bastasse a colmare un vuoto valoriale, il quale per ogni (effimero) passo – tecnologico – in avanti, ce ne fa fare almeno tre indietro.

“Ma lo vedi da tutto, il calcio è lo specchio della società. Ormai ai giovani di oggi di fare sacrifici non gliene importa proprio niente, pretendono e purtroppo hanno tutto e subito. Fanno tre partite in Serie C e si sentono arrivati. Ma arrivati dove? Una volta, parliamo di anni fa, mi capitò di seguire il Torneo di Viareggio, alloggiavo nello stesso albergo della Primavera della Juventus e vidi delle cose, dei comportamenti che mi lasciarono non poco perplesso. Diciassettenni che già si sentivano fenomeni di Serie A, io li guardavo veramente senza parole. La verità è che ‘tu’ puoi avere tutte le qualità del mondo, ma non sei nessuno se non diventi uomo. E poi lasciamelo dire, questi smartphone hanno proprio rovinato la società. Ogni tanto mi faccio un giro, vedo gruppi di ragazzi tutti col telefono in mano, che guardano solo quello, magari con cinque belle ragazze lì di fianco. Ma come? Una volta noi ci facevamo le corse in lambretta per andare a corteggiare le ragazze e guarda come siamo ridotti oggi…”. Tutto e subito, già. Dove basta passare un esame per esser avvocato cassazionista o far venti minuti in Serie C per essere l’erede designato di Cristiano Ronaldo. Ah, quanto manca la ‘cultura dell’attesa’! Asserisce convinto Auteri, che intanto si è acceso un’altra sigaretta… Venti, venticinque al giorno. Ma sono leggerissime! Prima fumavo le cortina slim, poi hanno pensato bene di toglierle dal mercato. Ora mi consolo con le dunhill, ma alle sigarette davvero non riesco a rinunciare. Mi piace, mi rilassa. Anche prima della partita, mi nascondo dietro la panchina e dò due o tre tiri, poi la spezzo così nessuno vede niente (ride)”.

La nostra ora e mezza di chiacchierata si conclude con due tappe: Matera e Catanzaro. Parliamo con semplicità, leggerezza, come se ci conoscessimo da una vita. E’ la sincerità la quintessenza di Gaetano Auteri… La fine del calcio a Matera mi dà una tristezza grande. Perché Matera è una città molto educata, civile e poi i materani credimi sono eccezionali. Hanno una qualità unica, sanno trasformare una piccola pagliuzza in un fiore. Come con i ‘Sassi’. Gente industriosa, sana, sincera, ho passato davvero delle belle stagioni a Matera…”.

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Parla attraverso il suo gioco Auteri, quel 3-4-3 esprime anche ciò che – a parole – Gaetano si tiene dentro di sé. Lo sa bene il ‘Ceravolo’ che da mesi ormai è tornato a pulsare al fianco di un’Aquila che nel cuor dei tifosi batte forte dal lunedì alla domenica, dalle 8 alle 24. A volte ritornano Gaetano, dieci anni dopo. Che sia il fato, la vita, semplice coincidenza, nessuno in (questa) vita potrà mai spiegarcelo… “In estate, quando mi ha chiamato il presidente Noto, ho firmato bianco. Questa è una piazza eccezionale, i soldi possono comprar tanto ma non tutto. Il sentimento, l’emozione non c’è valore monetario che tenga. A Catanzaro si respira calcio, si respira storia di calcio. Dieci anni fa partimmo con 220 paganti alla prima di campionato e finimmo con quasi 5mila catanzaresi al Flaminio di Roma a giocarci la promozione. Quella partita (persa 4-0 contro la Cisco Roma) fu un disastro, davvero, a distanza di tutto questo tempo non trovo ancora parole per spiegarmela. Dicono che qualche giocatore abbia addirittura preso dei soldi, non lo so e ormai non mi interessa. Quello che so è che sette o otto giocatori fecero degli errori pazzeschi, mai visti, era un gruppo allo sbando purtroppo. Una stagione terribile, arrivammo alla fine che ci mancava anche l’acqua calda per fare le docce e dovetti comprare dei boiler. Ma sai, il passato è passato, chi vive di adrenalina come me vive di presente… E di voglia di divertirsi. Il calcio mi fa sentir bambino, felice e appassionato. La sana brama di vittoria è vita pura. Ma vincere significa esser superiore all’avversario, dell’uno a zero tutti dietro la linea della palla, cosa me ne faccio?”.

In conclusione – Salutiamo Gaetano Auteri. A metà strada, però, torniamo indietro. Quasi a rincorrerlo. Per un’ora e mezzo ci siamo tenuti dentro una domanda precisa. Ci ripensiamo di botto, all’improvviso… ‘dobbiamo fargliela e basta’…. Finalmente lo raggiungiamo, corre veloce Gaetano. ‘Una domanda, scusa, ma che ci fai, dopo vent’anni, ancora in Serie C?’. Ci guarda, sorride e si lascia andare ad un abbraccio sincero. Perché esser ‘vincenti’, nel calcio come nella vita, prescinde da ogni dizione ‘di categoria'...

 

Credit Foto: Romana Monteverde - Us Catanzaro 1929

Tags: Serie C



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