Passato, presente e futuro, Quagliarella si racconta: “Vorrei legare il mio nome alla Samp. Giampaolo l’allenatore più importante della mia vita”
Sedici gol in ventuno giornate di campionato, il tutto condito da cinque assist. 34 anni ma ancora tanta voglia di giocare e trascinare i suoi compagni. Fabio Quagliarella è tutto questo, lui che ogni anno è capace di inventarsi qualcosa, lui che la rete la vede sempre e da qualunque posizione: “Il gol più bello? Come difficoltà quello da centrocampo contro il Chievo – racconta l’attaccante della Sampdoria in esclusiva al Corriere dello Sport – oppure la rovesciata a Reggio Calabria contro la Reggina. Mi piace quello al Mondiale in cui ho fatto il pallonetto in un momento difficile e importante per la squadra, ma bello fu anche il gol in Champions League con la maglia della Juve contro il Chelsea. Difficile trovarne solo uno, per me”. Già, per lui. Perché parliamo di un ragazzo che i colpi lì ha sempre avuti, rischiando giocate difficili ma che, alla fine, rappresentano il bello del calcio: “Oggi vedo poco istinto negli attaccanti – continua – pochi che se ne sbattono di sbagliare. Io sono il tipo che se deve fare una rovesciata, un tiro al volo non ci pensa due volte. Se sbaglio, amen. Anche per questo ho fatto dei gol belli. Vedo tanti che invece sono sempre preoccupati da quello che possono dire gli altri. Poi i giovani, ora, se fanno due partite buone vengono osannati e se ne sbagliano due vengono distrutti. Perciò per loro è un problema. In Italia siamo famosi per la tattica, però io credo che si dovrebbe lasciare la libertà, soprattutto ad un attaccante che ha estro, di fare delle giocate. E’ sbagliato cercare di incastrarlo nella tattica, nei movimenti. Così si perde il piacere del calcio. Il piacere del gioco è lasciare libero il giocatore. Però nel calcio di oggi si guarda troppo ai risultati, è un calcio un po’ diverso da quello in cui sono cresciuto”. Anche perché prima i giovani dovevano fare la gavetta, mentre ora: “Tanti escono dalla Primavera e vanno titolari in B o vanno a fare le riserve nel campionato in serie A. Secondo me non c’è una crescita, così. Io sono contentissimo di aver fatto la C2, poi la C1, la B e solo poi di essere arrivato in A. Si aveva a che fare con quelli più grandi di categoria che ti guardavano male male. Ti portavano a pensare: non so mica se ritorno a casa stasera. Secondo me quella è una scuola importante. Poi, la scuola dei campetti. I ragazzi non giocano più in mezzo alla strada. Adesso hanno tutti l’iPad in mano, l’iPhone, si sentono chi, si sentono campioni. Il calcio è fatica, gavetta, polvere. Tutto quello che serve perché diventi gioia”. Tanti i gol segnati, molte anche le squadre cambiate: “Sì, le circostanze del mercato hanno voluto diversamente. Però, sarebbe stato bello essere la bandiera di una squadra. Il destino, diciamo così, mi ha fatto cambiare più squadre. Però, la cosa bella è che ho cercato sempre di lasciare un buon ricordo del Quagliarella giocatore, ma soprattutto del Quagliarella uomo. Ma ora mi piacerebbe legare il mio nome alla Samp, dove mi trovo benissimo”. E dove in panchina non c’è un allenatore qualunque, ma quello che per Quagliarella è: “Il primo in assoluto. Quando l’ho incontrato venivo dalla serie B. Avevo vinto il campionato con il Toro e Giampaolo era in serie A con l’Ascoli. Ci dovevamo salvare, lui puntò tantissimo su di me e mi fece fare tantissime partite da titolare. E da lì ho preso consapevolezza di me”. Un unico grande rammarico, quella maglia azzurra con cui, forse, avrebbe potuto giocare di più: “Non lo so. Io credo in quello che ho potuto dare. Ho fatto quasi dieci anni di Nazionale però le partite fatte sono state poche. Quando sono andato in azzurro, all’inizio, c’erano i campioni del mondo, giocatori straordinari. Negli anni a seguire, non lo so. Gli allenatori fanno le loro scelte, non sto a criticare. A me ovviamente dispiaceva quando non c’ero. Ho sempre cercato di fare i miei campionati, le mie partite, i miei gol. Alla ne una mano la potevo dare anche io, in Nazionale. Mi potevano dare più fiducia. Questo mi dispiace”.