Mundial. La prima parola è spagnola ed è giusto così. Perché li, tra Barcellona e Madrid, Paolo Rossi divenne Pablito. L’Italia, sua e di tutti, si laureò campione del mondo.
Paolo se n’è andato all’improvviso, di notte, prima che andassimo a dormire. Beato chi l’ha fatto. Aveva 64 anni, lascia moglie e figli, e dopo Diego l’Italia saluta un altro totem della storia del pallone. Lui e Maradona si erano incrociati nell’82 al Mondiale di Spagna. Pablito era ancora Rossi, si scatenerà la gara successiva contro il Brasile di Zico: tripletta dal nulla e italiani in strada. Ci torneranno ancora. Il Diez, invece, venne annullato da Gentile, che oggi piange insieme a noi.
Bomber d’altri tempi, punta di talento. Juventus, Vicenza, Como, Perugia, Milan, Verona. Nazionale azzurra. Dopo aver fatto sognare Lanerossi e Perugia verrà squalificato due anni per il calcioscommesse, saltando l’Europeo del 1980: “Capii che era tutto vero quando tornai a casa e vidi le facce dei miei”. Giocherà il Mondiale con appena 3 partite sulle spalle, lanciato da Bearzot: “Mi ha sempre dato fiducia”. Farà bene: 6 gol in Spagna, tre al Brasile nella tragedia del Sarrià, due alla Polonia in semifinale e un altro alla Germania in finale. Campioni del mondo per tre volte con Pertini che si alza e applaude. Tardelli che urla insieme a tutti gli italiani. Paolo Rossi diventa Pablito e resterà per sempre. A fine anno vincerà il Pallone d’Oro.
Con la Juve vince tutto: due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Champions League e una Supercoppa Uefa. Venti gol in Nazionale e circa 150 tra i pro. Si ritirò nel 1987 dopo un anno nel Verona. È stato dirigente, opinionista, cantante (nel 1980 ha realizzato un 45 giri). Uomo gentile e perbene, campione in campo e nella vita. Ciao Paolo.