Finalmente Italia per Giroud. L’attaccante francese arriva in Serie A dopo anni di corteggiamenti e trattative saltate all’ultimo. Stavolta è tutto fatto. Ad accoglierlo ora c’è il Milan: per Olivier è un piccolo sogno nel cassetto che diventa realtà e un piccolo cerchio che si chiude. Da ragazzo infatti guardava le partite dei rossoneri in tv. Il suo idolo portava la maglia numero sette, si chiamava Andriy Shevchenko e esultava sotto la Curva Sud. Quella che ora scandirà il suo nome.
GIROUD, STORIA DI UN BAMBINO CHE SOGNAVA DI ESSERE SHEVA
Talmente innamorato di Sheva che da ragazzo prova a correre come lui e a fare le sue mosse in allenamento e in partita. Ma dei quattro fratelli, Olivier non è il più talentuoso. Romain, difensore centrale, sembra il vero prospetto di famiglia, tanto da entrare nel giro delle nazionali francesi giovanili. Si allena con Henry, Anelka e Trezeguet, ma a causa di incomprensioni e scelte sbagliate abbandona il calcio. È Olivier che diventa la star della famiglia: “Mio fratello aveva talento innato. Io ero uno che faceva tanti gol, ma non ero predestinato a una carriera come quella che poi ho fatto. Se ci sono riuscito è solo grazie al mio lavoro e all’aiuto di Dio”.
Olivier Giroud è l’esatto contrario di suo fratello Romain: fa l’attaccante e mentalmente è sempre stato di un livello superiore. Già da ragazzo lo ha dimostrato. Un primo esempio: a 19 anni viene da un producente prestito in terza divisione francese (14 gol in 33 partite) e si sente finalmente pronto per mettersi alla prova con il Grenoble, club in cui è cresciuto, appena promosso dalla Ligue 2 alla Ligue 1. A credere nelle sue possibilità era però l’unico: “L’allenatore mi disse: ‘Non hai il livello per importi in Ligue 2, figuriamoci in Ligue 1’”. Poteva essere il colpo del ko ma sarà la svolta: “Mi promisi di smentirlo”. La storia gli darà ragione. Quel “no” gli ha dato la spinta che lo ha fatto arrivare al tetto del mondo.
OLIVIER E IL RAPPORTO CON LA FEDE
Quando segna non si dimentica mai di alzare le braccia al cielo per ringraziare Dio: “Lui è con me ogni giorno”. La fede per lui è vita, rifugio e fonte d’ispirazione nei momenti difficili. Spesso Giroud ha raccontato di aver preso determinate decisioni (anche nella sua carriera) seguendo i segnali che Dio gli mandava: “Il merito del successo che ho ottenuto è mio, ma la fede mi ha permesso di prendere le scelte giuste”. Ancora oggi prima di andare a dormire legge sempre la Bibbia e sul braccio si è pure tatuato il Salmo XXIII, quello di Davide (“Il Signore è il mio pastore...”). “E un giorno, se ne avrò la possibilità, voglio farmi battezzare dov’è stato battezzato Gesù: nelle acque del fiume Giordano”. Intanto, una delle prime tappe a Milano sarà un saluto alla Madonnina.
E se l’Italia era nel destino di Olivier (le sue nonne sono di origine italiane), le strade con Milano stavano per incrociarsi già qualche mese fa. Gennaio 2020, Giroud è una richiesta di Conte per la sua Inter: per prenderlo però, il club deve cedere un attaccante. Il ‘sacrificato’ è Politano che parte per Roma, sostiene le visite mediche di rito e scatta già qualche foto con le sciarpe giallorosse. Giroud è pronto per vestire la maglia nerazzurra. L’affare però salta nelle ultime ore del mercato invernale. Non se ne fa di nulla: Politano torna all’Inter e Giroud resta al Chelsea. Il francese dovrà aspettare ancora un anno e mezzo per trovare la Serie A.
IL SUO RAPPORTO CON LA CONCORRENZA
In rossonero non avrà la certezza di giocare sempre titolare. Quando Ibrahimovic guarirà dall’infortunio, sarà lo svedese la prima scelta di Pioli e Giroud la sua riserva di lusso. Ma la concorrenza per l’attaccante francese non è mai stata un problema. Tutt’altro: “La concorrenza è il mio motore. Ne ho bisogno per andare avanti”. E ormai ne è abituato: dopo i primi anni all’Arsenal, col tempo è scalato nelle gerarchie dei suoi allenatori. Nei Gunners gli sono passati avanti prima Aubameyang, poi Lacazette. Al Chelsea situazione simile, con Abraham, Morata, Werner e Havertz. Con Maurizio Sarri però ha disputato una grande stagione, coronata con la vittoria dell’Europa League da protagonista assoluto e capocannoniere del torneo con 11 gol, di cui uno in finale contro l’Arsenal (più due assist e il rigore procurato). In pratica, l'Europa League l’ha vinta quasi da solo pur non partendo con i gradi del titolare indiscutibile. Neanche quella stagione.
Perché Giroud è diventato questo. Poche volte prima scelta, ma sempre indispensabile. Forte di testa per colpire palla, insidie e difficoltà del percorso. Lo conferma anche Deschamps, uno che ne ha fatto un pilastro della sua nazionale, nonostante le critiche dell’opinione pubblica a causa di una presunta scarsa vena realizzativa: “Olivier è un goleador con una mentalità vincente e un carattere d’acciaio”. Già, goleador. Perché al di là della personalità, Giroud gioca per segnare. Ne ha fatti 105 all’Arsenal, 39 con il Chelsea, 39 al Montpellier (eroe dello storico titolo del 2012), 46 con la Francia (2° marcatore all time, a sole cinque lunghezze dalla leggenda Henry). Ora la sua nuova ‘missione’ sarà quella di segnare anche a San Siro con la maglia rossonera. Quella dell’unico diavolo in cui da adesso riuscirà a credere.