E’ più facile illudersi che combattere. E’ meno scomodo, si può far da seduti, non implica sforzo e fatica. E’ più facile illudersi che le difficoltà, i problemi non esistano. E, laddove ci sono, evitarli in tutti i modi, scansarli, metterli da parte: girargli intorno. Siamo, tristemente, abituati a scappare. Anche perché, obiettivamente, ci hanno – altrettanto tristemente – riempito di vie di fuga: telefoni, computer, tablet, realtà virtuali. Il risultato? Un quasi totale abbrutimento. Non siamo più in grado di affrontare un problema. La benché minima cosa, la più stupida e insignificante, ci manda nel pallone, nel panico: ci lascia in preda ad una amecania spaventosamente preoccupante.
Riflettiamoci. Mi piace illudermi che la storia che sto per raccontare serva proprio a questo. A riflettere. Se così non fosse, staccate pure gli occhi da telefono e computer, tanto non serve a niente. Raccontiamo Franco Ferrari, attaccante classe ’95 di proprietà del Genoa attualmente in prestito alla Pistoiese. Meglio, raccontiamo la storia di un ragazzino appena diciottenne con cinquanta euro in mano e un biglietto di sola andata Buenos Aires-Roma. Raccontiamo la storia di un ragazzino che dalla sera alla mattina si è ritrovato dall’altra parte del mondo a viver da solo in una grande città. E con l’alea più estrema tra le mani. “Se fallisco non so cosa vado a fare, forse i traslochi…”. E riflettiamoci un attimo, bastano due minuti, su quali sono le vere difficoltà della vita.
Ferrari nasce a Rosario, in centro città. Quartiere tranquillo, uno dei più belli. “Leo Messi invece è nato in un quartiere a sud”. Papà fa l’autotrasportatore (per la precisione trasporta mobili e quant’altro per i traslochi insieme al nonno e allo zio di Franco), mentre mamma gestisce un centro di recupero per ragazzi in difficoltà. Lui va a scuola, finisce il Liceo con relativa specializzazione in Economia e lavora, ogni tanto, insieme a papà… “Ma lui, che dalla fatica ha la schiena spezzata, è stato sempre chiaro con me… ‘Franco non voglio che da grande farai il mio lavoro: o provi a fare il calciatore o studi’. Era un lavoro molto faticoso, lo ammetto, ma alla fine lo facevo abbastanza volentieri. Senza pensare ai soldi, la grande soddisfazione era di poter continuare la tradizione di famiglia. E poi a me le difficoltà non hanno mai messo paura, anzi…”.
Comincia a giocare a calcio. In quelle giornate davvero intense, infinite. Si vede che ha qualità, ma con l’allenatore non c’è molto feeling. E quindi gioca poco. Poi, un giorno, all’improvviso, la proposta che gli cambia la vita. Un osservatore Marcelo Segundo gli mette la mano sulla spalla e senza mezzi termini… ‘Franco mi sembri bravo, vuoi venire con me in Italia?’. Una di quelle situazioni sulle quali penseresti all’infinito, ma tanto non riusciresti mai a trovare una soluzione che ti convincerebbe appieno. Franco si fida del suo istinto… “Devo provarci, è il sogno della mia vita. Sarà dura, ma devo pensare al mio futuro. A scuola non vado molto bene, se rimango qui o vado a fare i traslochi o non so che cosa… Ripenso a quello che mi ha detto papà, a quello che mi ripeteva tutti i giorni… ‘Non fare il mio lavoro: o studi o giochi calcio’. Corro in camera, mi vesto e parto. Avevo addosso la maglietta dell’Argentina, in mano 50 euro. Poi avevo una carta di credito in tasca… ‘Ma quella Franco mi raccomando, usala solo e soltanto per le emergenze’, erano stati chiari i miei genitori”.
Prende e parte, di buon mattino. Lascia Rosario, lascia la sua famiglia. Lascia tutti. Lui, suo fratello e Segundo: biglietto di sola andata.‘Scusa Marcelo, ma poi quando torniamo?’. ‘Quello poi si vedrà, Franco…’. Segundo gli trova una sistemazione a Firenze, dietro a Santa Maria Novella. E, nel frattempo, arriva la prima esperienza ‘italiana’ con lo Scandicci, in Serie D… “Non ne voglio parlare perché mi ha fatto davvero troppo male. Sono andato lì e la prima cosa che mi hanno detta è stata… ‘Non ci servi, la Serie D non fa per te’. Sono preso e me ne sono andato”. Schietto, sincero. Ma soprattutto umile. E con un senso del sacrificio davvero encomiabile… “Considerando quello che mi hanno detto, scendo di categoria. Vado a giocare in Eccellenza, al Castelfiorentino. Partivo di casa alle 16 e tornavo alle 23. Facevo – racconta Ferrari ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – quaranta minuti a piedi per arrivare in stazione, perché avevo cambiato casa, poi un’ora e passa di treno e dalla fermata di Castelfiorentino altri dieci minuti buoni a piedi per arrivare al campo. Con il borsone sulle spalle…”. E quel sorriso che porta sempre con sé… “Senz’altro era dura, ma io non mi sono mai fermato. L’ho sempre fatto volentieri, non mi pesava. Anche perché sapete qual era l’alternativa, no?”.
Torna, meritatamente (parola sempre più sconosciuta in questo sistema calcio, poi però ci lamentiamo…) in Serie D, al Montecatini. Tutto scorre nella direzione giusta. Fino a quel maledetto 25 marzo dell’anno scorso… “Il giorno più brutto della mia vita! Mi sono rotto il crociato. E’ stato un mese difficile. Stavo da solo a casa, cercavo di non pensare. Mi facevo forza, non potevo e non volevo mollare. ‘Vedrai Franco che la fortuna girerà anche a tuo favore’. Me lo ripetevo in continuazione”. Già, la fortuna. Quella ruota che gira talvolta nella direzione contraria, talaltra in quella giusta. E, la cosa bella, è che tu non puoi farci nulla. Puoi solo salir sulla giostra. E non puoi nemmeno scendere. In qualche modo, la fortuna, riesce a riprenderti sopra… “Un mese dopo arriva la chiamata del Genoa. Io non ci credevo, pensavo fosse solo uno stupido scherzo. E invece…mi fanno parlare con i dirigenti! Mi prendono con un crociato rotto, dalla Serie D alla Serie A, cinque anni di contratto. Loro hanno scommesso su di me, mi hanno pagato tutte le spese mediche…E io, prima o poi, in un modo o nell’altro, mi sdebiterò con loro. Fosse l’ultima cosa che faccio nella mia carriera…”.
Sa quello che vuole, non si piega. Molto deciso...“A volte, fin troppo. Mi chiamano ‘El Loco’. Ma ora la mia ragazza mi ha messo la testa apposto”. Conosciuta proprio a Genova…ah il destino! Quello stesso che lo coccolava in quelle lunghissime, interminabili giornate in riva al mare… “Mi mettevo lì, da solo e aspettavo di far la fisioterapia”. Finché un giorno al campo di allenamento… “Io ero a far le terapie quando entra nella stanza il Cholito Simeone. Beh, da quel momento non ci siamo più lasciati. Nonostante io fossi ‘nessuno’, lui mi è stato vicino dal primo all’ultimo giorno del mio infortunio”. Non che ora che è guarito non siano più amici, anzi… “Da quest’estate lui è a Firenze ed io a Pistoia quindi andiamo a cena fuori ogni settimana. Asado? Sì, sì. Possibilmente carne. Poi Giovanni è venuto anche a vedere una partita qui a Pistoia, giocavamo contro il Pro Piacenza”.
Molto spigliato, Ferrari. Ti coinvolge nel racconto. Ci dispiace salutarlo… “Anche a me, ma dopo cinque mesi stanno arrivando i miei genitori dall’Argentina e li devo andare a prendere. Devo anche organizzare un bel pranzo…ma a base di pesce! Li porterò a Genova…”. Lì, dove tutto è cominciato. Tra difficoltà e incertezze. Tra dubbi e perplessità. Ma non è piangendoci addosso che risolveremo mai nulla. Allora meglio posare smartphone e pc, fare un bel sospirone, tornare nella vita reale e affrontarle le difficoltà, i problemi (ammesso che siano poi tali). Ce lo insegna Franco, ce lo insegna la sua splendida favola…