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“Non ce la faccio più. Mi vergogno a uscire di casa”. Mertesacker e André Gomes, le verità dei calciatori che non vivono un sogno

Ricchi, famosi e infelici. Quando si parla di calciatori non si immaginare un mondo difficile, fatto di sacrifici e di stati d’animo che a volte non si riescono a gestire. Lo stereotipo del giocatore è quello del ragazzo giovane che tutto può, senza ostacoli né limiti. C’è però anche un lato B. Le parole di Per Mertesacker a Der Spiegel fanno rumore. “Siamo dei privilegiati e ne sono consapevole ma a un certo punto tutto diventa solo un peso, fisico e mentale“.

Una confessione a cuore aperto nell’ultimo anno della sua lunga carriera, il difensore ora all’Arsenal porta con sé un malessere da molti anni: “Quando nel 2006 la Germania ha perso i Mondiali contro l’Italia ero sollevato. Ero dispiaciuto per l’eliminazione della mia squadra, questo sì, me lo ricordo come fosse oggi ma pensavo soltanto ‘è tutto finito, finalmente’. C’era troppa pressione, alcuni la vivono male. Noi veniamo valutati solo per le nostre prestazioni, non si gioca per divertirsi ma bisogna rendere sempre al meglio senza giustificazioni. Questo è l’ultimo anno in cui giocherò, non ce la faccio veramente più. Preferisco stare in panchina o meglio ancora in tribuna. Ma tra qualche qualche mese sarò libero”.

Mertesacker non risparmia nemmeno altri dettagli personali che spiegano quanto la connessione tra il cattivo rendimento in campo e le condizioni mentali sia stretta: “Nei momenti che precedono la partita il mio stomaco gira come se dovessi vomitare. Devo soffocare questa sensazione così violentemente che poi iniziano a lacrimarmi gli occhi. Ormai so come devo fare, è come se simbolicamente vomitassi tutto quello che viene dopo il fischio d’inizio. Gli infortuni spesso sono mentali, ti fai male perché non ce la fai più”. Ma per un uomo che fatica a vivere le situazioni che circondano una partita restare lontano dal campo non è stato un dramma: “Era l’unico modo per fermarsi in maniera legittima”. Poco c’entrano tutti i benefici che derivano da una professione che da piccoli più o meno tutti sognano di fare, a distanza di poche ore un’altra intervista (al mensile spagnolo Panenka), il centrocampista del Barcellona André Gomes dà ragione al collega.

“In campo non mi sento bene – racconta il portoghese – forse non è la parola più giusta ma dopo i primi mesi positivi tutto si è trasformato un po’ in un inferno. In allenamento è tutto ok ma le sensazioni in partita non sono buone. Pensare non mi aiuta perché mi vengono in mente pensieri negativi e continuo a pensarci ancora, e ancora. Non parlo con nessuno, non do fastidio a nessuno come se mi vergognassi. Mi è successo di non voler uscire di casa, vergognarsi a uscire di casa non è bello…”. Parole che pesano, pronunciate forse per trovare un po’ di sollievo in un ambiente che non perdona, a cui non interessa quello che hai in testa se giochi male. Fanno riflettere perché il sogno realizzato diventa quasi un incubo. Una realtà ben diversa da ciò che tutti immaginano vedendoti fare il lavoro più bello del mondo. Ti invidiano, magari, ma non conoscono i sacrifici.

Mesi fa, una ricerca condotta dal sindacato mondiale dei calciatori aveva preso in esame 826 atleti e aveva così stabilito che 1 su 3 “è ansioso o addirittura depresso”. Problemi serissimi che portano a una riflessione ben più ampia del classico “guadagnano tanto, non si possono lamentare“. Dietro al giocatore c’è la persona che soffre, spesso in silenzio. “Psicologie fragili” in tutto il mondo, uno come Buffon non ha mai nascosto di aver sofferto e curato la sua depressione aprendo la mente ad altre attività. Anche Lothar Mattaeus suggerisce di “non puntare tutto sul calcio, perché solo una piccola percentuale riesce ad ottenere ciò che vuole ed essere così soddisfatto della propria vita”. Il sindacato mondiale dei calciatori professionisti conosce la situazione e ha pensato anche a delle iniziative reali per combattere il problema; guide per conoscere e affrontare questo male stampate in 15 lingue diverse, psicologi specializzati per gestire anche i giorni più bui di una carriera.

Mertesacker ha vestito soltanto tre maglie in carriera – Hannover, Werder Brema e Arsenal – e per oltre 12 anni si è portato dentro il suo malessere. André Gomes di anni ne ha appena 24. Voci fuori dal coro in un ambiente che nasconde angoli bui dove spesso un uomo finisce per nascondersi all’oscuro di tutti.