Gallego, un’alba in Nicaragua: “Nessuna emergenza. Il calcio continua”
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Data: 27/03/2020 -

Gallego, un’alba in Nicaragua: “Nessuna emergenza. Il calcio continua”

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L’attaccante spagnolo del Managua, capocannoniere del Torneo di Clausura, ai nostri microfoni ha raccontato la situazione nel paese dove il calcio non si è fermato
L’attaccante spagnolo del Managua, capocannoniere del Torneo di Clausura, ai nostri microfoni ha raccontato la situazione nel paese dove il calcio non si è fermato

Ore 6:40, notifica su WhatsApp: “Hola Pablo, cómo estás?”. Non si stropiccia gli occhi, è sveglio da un po’. La giornata di un calciatore in Nicaragua inizia prestissimo. A rispondere è Pablo Gallego, attaccante spagnolo del Managua, uno dei quattro club della capitale. È l’alba, ma il bus già attende la squadra per la trasferta contro il Chinandega. In Nicaragua il campionato continua, come in Bielorussia. Gli unici tornei ufficiali ancora in corso.

“Hermano, estoy bien. Espero tú también en Malta”. Sette ore di fuso orario. Stavolta a illuminarsi è il telefono di Giacomo Ratto, portiere italiano del Victoria Wanderers (Serie A maltese). Il calcio li ha fatti incontrare. Fratelli, più che amici. Costantemente in contatto, soprattutto in questo periodo. L’emergenza Coronavirus ha colpito il mondo: dalla Cina agli Usa. Le nostre vite sono cambiate. Adesso tutti siamo fermi. Ovunque, non in Nicaragua.

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Lì si lavora, si esce e si gioca a calcio. Come fosse la normalità. Gallego è in viaggio con il Managua per l’11^ turno del Torneo di Clausura. Dopo un giorno riusciamo a sentirci: “Eccoci Pablo, finalmente”. Videochiama a tre, c’è anche Giacomo che ci aiuta con la traduzione. Non parliamo la stessa lingua di Pablo, ma ci capiamo bene. Magia del calcio: “I messaggi di ieri mi hanno portato fortuna. Abbiamo vinto con un gol all’89’”. La squadra di Gallego è prima in classifica con 25 punti. Lui è il capocannoniere del campionato con cinque gol. Entusiasmo e sorrisi, rari di questi tempi: “In Nicaragua la vita continua, non è cambiato nulla. I casi di Coronavirus sono solo due e nessun morto. I club della Liga si sono riuniti e hanno deciso che il campionato deve proseguire”. 

I giocatori del Diriangen, lo scorso weekend, sono scesi in campo con guanti e mascherine. Qualcuno ha provato anche a tenerli per la partita, ma correre senza respirare correttamente è complicato: “È stata una loro scelta. Noi del Managua abbiamo giocato senza precauzioni. Le partite sono a porte chiuse. Ci laviamo e disinfettiamo spesso le mani. Prima, durante e dopo l’allenamento. Ieri l’abbiamo fatto prima di salire sul pullman e quando siamo arrivati allo stadio. Ma in campo non ci siamo risparmiati”.

Pablo è originario di Huesca, in Spagna. Tutta la sua famiglia vive lì. Ogni giorno riceve notizie allarmanti dall’Europa: “Sono molto preoccupato, soprattutto per i miei nonni. La situazione è critica, come in Italia. Finora stanno tutti bene. In Nicaragua provano a contenere il problema. Qui ci sono tante patologie con cui la gente muore ogni anno, come il virus Zika e la febbre dengue (infezioni trasmesse dalle zanzare infette). Per ora il Coronavirus non ha causato morti, ma non sappiamo cosa accadrà in futuro. Io sono a casa da solo. Esco solo per allenamenti, partite e spesa”.

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La domanda è spontanea. “Pablo, non hai paura di continuare a giocare?”. Mi risponde abbozzando un sorriso sincero tipico di chi ne ha viste tante: “Un po’, ma rispettiamo quello che ci dicono Governo e club. Nel 2018 c’è stato un tentativo di colpo di stato. La vita non è stata facile in quel periodo. Il Nicaragua è un paese povero. Se non si muore di Coronavirus, si muore di fame”.

Continuiamo a parlare, Pablo è un fiume in piena. La gavetta in serie C spagnola fino a 24 anni: “Mio padre diceva che dovevo studiare. Giocavo a calcio e frequentavo l’Università. Studiavo Istruzione Primaria. Stavo scrivendo la tesi quando è arrivata la chiamata dall’AEL in Grecia. Giocare a calcio era il mio sogno, non potevo rifiutare”. Diventato professionista, è arrivato in Nicaragua nel 2018 con l’Estelì.

Qui la palla passa a Giacomo: “Io e Pablo abbiamo avuto modo di confrontarci tanto in quel periodo. Ci siamo conosciuti tramite i social quando giocavamo entrambi in Grecia, ma non ci siamo mai incontrati. Io in Nicaragua ho vestito la maglia dell’UNAN Managua nel 2015. Poi ho girato il mondo. Da Panama alla Mongolia, passando per la Svizzera e l’Islanda”.

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Pablo e Giacomo, emigranti del calcio. Ci raccontano il Nicaragua: “Non è un paese pericoloso come lo descrivono. La Liga Primera ha 10 squadre, ma il calcio è molto seguito. Le persone in strada ti fermano, chiedono foto e autografi”. Un difetto? “Il caldo. I giocatori si allenano alle 6 del mattino, perché dalle 8:30 diventa difficile correre e reggere lo sforzo”. Al limite della sopportazione: “Quando giocavo con l’Estelì – dice Pablo - l’appuntamento per gli allenamenti era alle 4:40. Iniziavamo alle 5:20. Se hai una carnagione chiara, devi usare la crema protettiva ogni volta che ti esponi al sole. Si rischiano pesanti scottature”.

Ecco perché alle 6:40 Pablo ha subito risposto al messaggio di Giacomo. La sveglia per i calciatori in Nicaragua suona prestissimo. Routine intesa, Gallego trova la forza nella fede: “Qui preghiamo sempre, prima e dopo ogni allenamento o partita”. Mani giunte e sguardo al cielo. In Nicaragua tutto procede alla normalità. Come un’oasi protetta tra l’Oceano Pacifico e il Mar dei Caraibi. Ringraziamo Giacomo per la disponibilità. Gallego ha un’ultima cosa da dirci prima dei saluti. Stavolta nella nostra lingua: “Forza Italia, ce la farete”. Speriamo Pablo, speriamo davvero.



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