“Non si stanno rendendo conto della situazione”. Azdren Llullaku, attaccante dello Shakhter Soligorsk (la squadra che lo scorso agosto ha affrontato il Torino nei preliminari di Europa League), è l’inviato migliore per raccontare questi assurdi giorni in Bielorussia.
In Europa più di centomila persone hanno contratto il Coronavirus, più di diecimila hanno perso la vita, ma il campionato bielorusso è iniziato giovedì. Uno stato di 9 milioni di abitanti tra Polonia e Russia, capace di guadagnarsi il soprannome di “ultima dittatura d’Europa” per le oppressioni a diritti civili e alla libertà di stampa del proprio presidente Alexander Lukashenko. Lo stesso che ha definito così la pandemia: "Una psicosi da combattere con sauna, vodka e lavoro”.
A quelle latitudini gioca proprio Llullaku, una vecchia conoscenza del calcio italiano con una storia di vita vissuta (qui il racconto). Quella di un ragazzino di dodici anni, orfano del padre, fuggito dalla guerra in Kosovo su un gommone tanto pericolante quanto unico tramite per il suo sogno. Realizzato dopo tanti sacrifici grazie alla chiamata della Nazionale albanese di Gianni De Biasi, nel 2016. “Qui è tutto in ordine, come se nulla fosse. Io spero vada tutto bene, eppure non posso esserne sicuro perché il virus ha già contagiato tutte le altre nazioni”, racconta a Gianlucadimarzio.com l’attaccante albanese con passaporto italiano.
In panchina nella gara d’esordio di campionato dove, nonostante oltre cinquanta casi già accertati, non sono mancati tifosi sugli spalti, strette di mano e abbracci per celebrare i gol segnati: “Giovedì c’è stata la prima giornata, ma in precedenza avevamo già fatto due gare di coppa contro la stessa squadra, lo Zhodino, e una di Supercoppa. C’è stata una riunione martedì per decidere se fermare il campionato o meno. Alla fine si è scelto di continuare e siamo stati solo avvisati. Ci hanno detto che saremmo scesi in campo il 19, poi hanno subito sviato il discorso. A preoccuparmi è soprattutto la presenza del pubblico. Qui c’è una mentalità diversa”.
E le partite vengono addirittura aggiunte: “Ci sarebbe stato tutto il tempo per recuperare le gare dato che il campionato finisce a dicembre, non riesco davvero a capire. Adesso avrebbe dovuto esserci anche uno stop per le Nazionali, invece non ci sarà più perché il 28 marzo giocheremo un recupero che non era in calendario”.
Llullaku: “In Bielorussia la gente in giro tutto il giorno”
Llullaku è un italiano adottato, qui è stato accolto ed è diventato uomo: “L’Italia mi ha cambiato la vita”. Non solo: al Nord risiede anche la sua famiglia: “Sono a Treviso e mi tengono sempre aggiornato su quanto sta accadendo in Europa. So bene quello che questo virus può causare e per questo la decisione presa mi ha sorpreso. Non è possibile che in tutto il resto del mondo ci si fermi e soltanto qui no. Mi turba, ma cosa possiamo fare?”.
Un’epidemia che in Bielorussia non ha alcun impatto sulla vita di tutti i giorni: “Io cerco di fare attenzione. Mi alleno, gioco e poi mi rinchiudo a casa. Esco solo a fare la spesa. Ma qui non c’è nessuna preoccupazione: le scuole sono aperte, i centri commerciali e le palestre anche. La gente va in giro tutto il giorno senza nessun timore, è tutto nella norma. L’unica raccomandazione che viene fatta è di lavarsi le mani”.
Se pensate sia tutto, vi sbagliate. Perché di paradosso ce n’è un altro bello ingombrante: “I casi accertati in Bielorussia sono già cinquanta e un giocatore di un’altra squadra, dell’Isloch Minsk, poco tempo fa è risultato positivo al Covid-19. Neanche questo è servito a dare lo stop”.
In Turchia la protesta dei giocatori ha portato alla sospensione del campionato. Uno scenario non replicabile nell’ex repubblica sovietica: “Tra i giocatori si parla del coronavirus, però questo grande problema è come se fosse lontano anni luce. E di ribellioni neanche a parlarne…”.
L’Italia nel cuore: “Andrà tutto bene”
Llullaku è partito dalla Terza Categoria, si è fatto le ossa tra Eccellenza e Serie D, però lo status da extracomunitario gli ha impedito il grande salto nel professionismo. Così è stato costretto a rilanciarsi in Romania al Gaz Metan Medias e vincere la classifica cannonieri per conquistare prima l’Albania, poi la chiamata dell’Astana.
Nel 2018 il tanto atteso ritorno in Italia non è andato invece secondo i piani e alla Virtus Entella è retrocesso in Serie C dopo aver messo insieme solo quattro presenze: “Non ho avuto molto spazio. L’annata è stata complicata per tutta la squadra: non andava bene nulla e alla fine siamo retrocessi. A quel punto non c’era modo di proseguire insieme”.
Il suo sogno però non cambia: “Ad agosto in Europa League ero in panchina a Torino, al ritorno invece non c’ero per un infortunio. Ho un contratto fino a dicembre, poi vedremo: la stagione è appena iniziata. L’obiettivo primario è tornare in Italia, dove ho casa e famiglia”. E proprio al nostro Paese è rivolto il suo ultimo pensiero: “Dico al popolo italiano, così buono, di stringere i denti. Anche la mia famiglia sta passando un brutto periodo, ma con un po’ di sacrifici andrà tutto bene”.
di Gabriele Candelori