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Napoli, chi è Benedetto Barba: occhi su di lui dopo 45′ super col Crystal Palace

Dall’eredità sportiva del nonno, a quella meravigliosa dichiarazione d’amore al calcio: chi è Benedetto Barba, la storia del capitano del Napoli Primavera

Il talento di Benedetto Barba, nella giornata dell’amichevole del Napoli contro il Crystal Palace al Regnum Carya di Antalya, stavolta è risaltato agli occhi di molti. Chi segue meno assiduamente il Napoli Primavera – di cui è il capitano – e il campionato in generale, ora è rimasto incuriosito da questo ragazzo di 19 anni. Per l’esperto allenatore Nicolò Frustalupi è un pilastro nell’undici titolare, ma la scelta è semplice grazie anche al rendimento e alla disciplina (dentro e fuori dal campo) del ragazzo.

 

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Se l’anno scorso era il bomber Giuseppe Ambrosino a rubare l’attenzione coi suoi gol, ora c’è forte attenzione anche a Benedetto Barba. Difensore centrale, agile e scattante, con il calcio nel sangue e nel cuore. Lui, come Ambrosino e non solo in tempi recenti, si è aggregato già varie volte alla Prima Squadra di Spalletti. L’anno scorso viaggiò verso Mosca, convocato per il match di Europa League con lo Spartak. Poi il mini-ritiro invernale in Turchia, per sopperire alle assenze Mondiale di Kim Min-jae. Chissà poi cos’altro verrà ancora.

Da Benedetto a Benedetto: “l’eredità” del nonno

Sono circa sei gli anni passati dalla scomparsa del nonno paterno, Benedetto, come lui, ma il nome non è l’unico particolare di congiunzione tra nonno e nipote. Lo sport stesso lo è. Il nonno è stato l’unico sportivo in famiglia, un canottiere, anche campione italiano nei primi anni ’50.

Una sorta di “eredità”. Dal nonno Benedetto è arrivata la predisposizione al lavoro e al sudore per lo sport. L’amore per lo sport. Tutto donato al più giovane Benedetto, che adesso – a 19 anni – si affaccia al professionismo. Il nipote, però, ha iniziato a giocare a calcio, non a praticare canottaggio. Ma tutto è iniziato un po’ per caso.

I “Primi Calci” di Benedetto Barba

Intorno al 2009, all’età di 6 anni, Benedetto si trasferisce con la famiglia a Caserta. Iniziare a giocare in una scuola calcio è stato uno dei modi per includere subito il piccolo Benedetto in un ambiente nuovo, con altri bambini. È questo, da sempre, uno degli aspetti più belli dello sport in sé.

 

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Ecco perché il calcio arriva quasi per caso, ma poi si dimostra qualcosa di più, neanche una passione, qualcosa di più forte. Un obiettivo reale, nato mentre dava i “Primi Calci” alla scuola Jean Jacques Rousseau e subito dopo all’Intercasertana, per i tre anni successivi, dove si fa notare vincendo premi di squadra e individuali.

Benedetto fuori dal campo

Quello che trapela col passare degli anni, nonostante la giovanissima età, è una predisposizione anche all’ordine, quasi una trasposizione con il suo ruolo in campo: un difensore, che “pulisce” l’area, la “tiene in ordine”. Alle volte, infatti, se ha dovuto cambiare ruolo, ha giocato anche mediano davanti alla difesa.

Benedetto è così, anche nella vita: ordinato, autonomo, da che era piccolo. Preciso e puntuale, si sveglia da solo, mette in ordine la stanza, sa rifare perfettamente il suo letto, fa le pulizie, per l’incredulità (e la gioia, immaginiamo) dei suoi genitori.

 

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FOTO: Martina Cutrona

Il suo carattere è quello e lo riversa nella vita di tutti i giorni, mostra la fermezza di chi può farcela davvero, di chi è destinato a giocare a calcio, ad alti livelli. Contro tutte le insicurezze, sempre giustificate ovviamente, lui ha continuato a spingersi al massimo, per arrivare più in alto possibile. Come con la “forca”, quell’attrezzo regalatogli dal nonno materno, con il pallone appeso a una fune, adatto ad allenarsi nell’elevazione e a staccare di testa ogni volta sempre più in alto.

L’arrivo al Napoli e i primi ostacoli da affrontare

Nel 2013, il Napoli fece dei provini per creare da subito le rose di talenti più giovani, per categorie come Pulcini ed Esordienti, che fino ad allora non esistevano. Lì Benedetto e la famiglia hanno conosciuto Luigi Caffarelli, ex campione d’Italia proprio con il Napoli, che dal 2012 lavora come responsabile dello scouting delle giovanili del club.

Il piccolo Barba si fece notare, venne selezionato senza perdere tempo. Caffarelli avvisò la famiglia: “Ci saranno sacrifici da fare”. Hanno deciso di farli, per dare a Benedetto la sua grande chance. Ne è valsa la pena, com’era già prevedibile perché Benedetto era davvero bravo.Stu Benedetto, stu Benedetto, dicevano già i suoi allenatori nelle scuole calcio. Nel senso positivo dell’espressione.

 

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Dopo i primissimi anni, ha dovuto anche oltrepassare i primissimi ostacoli: un infortunio al braccio, a ridosso dell’U15, che lo tiene fuori dal campo per un paio di mesi. Poco dopo il rientro, infortunio al polso: la paura arriva, magari è la volta buona che Benedetto molla. Invece no e il perché l’abbiamo già spiegato: lui è un ragazzo deciso, che ha scelto di dedicare tutto se stesso al calcio.

La convocazione con l’Italia (e quella “dichiarazione d’amore”)

Dedicarsi con costanza al calcio, spendendo tutte le proprie energie, alle volte, è rischioso. Storicamente e non solo, chi ha dedicato la propria vita al calcio ha perso di vista gli studi, l’istruzione, che è sempre fondamentale in qualunque circostanza. Benedetto Barba non ha perso di vista gli studi, anzi. È andato bene a scuola e si è anche iscritto al corso di Laurea in Scienze Motorie, a Napoli, nell’estate 2021.

Perché questo discorso? Bisogna tornare ancora indietro di quattro anni, al periodo della sua prima convocazione per l’Italia, in U15, per partecipare al Torneo delle Nazioni (dove giocò 4 partite e segnò anche un gol). Lì si può comprendere davvero cosa vuol dire il calcio per Benedetto, che ha scelto con la sua classica fermezza il suo futuro, al di là del percorso di studi che ha intrapreso comunque.

 

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Resta impressa nella mente di chi lo conosce una vera e propria “dichiarazione d’amore al calcio”, che Benedetto pubblicò sui social nel periodo del Torneo giocato con la Nazionale:

  • «Vai ancora la domenica a calcio?», ti senti dire dalla gente. «La domenica meglio dormire che andare in trasferta», ti dicono. «Meglio il divertimento», ti dicono i tuoi compagni di classe. «Pensa a studiare», ti dicono i tuoi genitori. Sorridendo pensi: «Che ne sanno loro di cos’è il calcio per me».

Ha scritto questo, in un post su Facebook, pubblicato con una foto che lo ritrae con la maglietta dell’Italia. Conclude così: Pensandoci non è neanche colpa loro. Vuol dire che non hanno avuto la stessa fortuna: quella di esultare dopo un rigore parato al 90’. Questa è la mia vita e ne vado fiero. Questo è Benedetto Barba, nato calciatore. Stu Benedetto, stu Benedetto…

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