Nemmeno un anno lontano dai campi, forse troppo, per lui mai così tanto. “Il calcio mi manca”, dichiarava commosso José Mourinho lo scorso agosto. “Sto aspettando l’occasione giusta”. Né un turbolento ritorno al Real, né i 100 milioni offerti in estate dal Guangzhou. Ci voleva qualcosa di Special. E la sfida Spurs, più del blasone madrileno e dei soldi cinesi, è ricca di stimoli. Quelli di una squadra brillantemente forgiata da Pochettino, ma in attesa del salto di qualità: in cinque anni di gestione argentina, finale di League Cup, secondo posto in Premier, finale di Champions. Ma per dirla alla Mou, zeru tituli.
Qui c’è spazio per il problem solver portoghese. Rivelazione di Porto, messia nerazzurro, frontman di Abramovich. E anche quando non c’è stato l’happy ending, vedi Real e Manchester United, Mourinho è sempre riuscito a rompere digiuni importanti (con i blancos la Liga dopo quattro anni e tra i Red Devils un trofeo europeo a distanza di nove).
Lo stratega di Setubal nasce ben prima del calcio d’inizio. Pondera tutto. La notte del triplete dell’Inter era scivolato in silenzio lontano dallo spogliatoio in festa e da Milano “per non cedere alle emozioni: non sarei più andato al Real”, rivelerà poi. E poi la costruzione di un personaggio cult. Dal vocabolario all’arte provocatoria del gesticolare. ‘Por qué’, manette, mano all’orecchio. O lo amano o lo odiano. A lui sta bene così, lontano dall’indifferenza e dai programmi tv a cui ha ceduto negli ultimi mesi (dalla Russia al Qatar) per rimanere aggrappato al calcio. The show must go on, dopo tutto.
Il maestro e l'allievo
L’ultima partita da allenatore era stata proprio nel nuovo Tottenham Hotspur Stadium, alla guida dell’Inter Forever in amichevole lo scorso 30 marzo. Un segnale dal futuro, l’odore del passato. Perché il club di Daniel Levy è stata anche la rampa di lancio di Villas Boas, storico assistente di Mou prima della rottura e il nuovo inizio da Porto (anche qui, con una coppa europea record). A Londra si scambiano i ruoli, il maestro che subentra all’allievo a distanza di sei anni. La sua seconda stagione al Tottenham si era chiusa con l’esonero, e prima di tornare in Europa sulla panchina del Marsiglia, il giovane Villas Boas sì, che aveva ceduto alle lusinghe asiatiche.
Mourinho sa di essere diverso, pronto a riscrivere la storia degli Spurs. E la memoria: “Non potrei mai accettare l’incarico per rispetto verso i tifosi del Chelsea”, affermava nel 2015. Tanta acqua sotto i ponti, ma i tabloid britannici se ne sono ricordati subito. Nemmeno il tempo di firmare e c’è già fermento mediatico. Come portarlo dalla propria parte? “Tituli!”, esclamerebbe lui. Ad High Road li aspettano dal 2008.