Una volta parò tutto grazie alle “ali di Maestrelli”. Parole sue, le stesse da anni, un ricordo sincero: “Vincemmo 1-0 contro la Roma, segnò Giordano”. Pulici migliore in campo: “Ero convinto che il mister fosse lì con me”. Adesso potrà raggiungerlo e dirgli quello che non ha mai potuto dirgli, ovvero che quel giorno, il 28 novembre del ’76, Felice Pulici pensava che lui fosse in tribuna e parò tutto, clean sheet.
Un destro all’incrocio impensabile, irreale, talmente bello che i cronisti dell’epoca fecero a gara per strappargli una dichiarazione. Lui però, il “duro” del clan Chinaglia, portierone dello Scudetto vinto due anni prima, scoppiò a piangere a dirotto. Una frase, poche parole, tutta la sua vita: “Dedico la vittoria a Tommaso Maestrelli, ho volato con le sue ali”. Andò proprio così.
Oggi Felice Pulici non c’è più, è scomparso a 72 anni dopo una lunga malattia. È stato il portiere titolare della Lazio del ’74, quella del primo Scudetto e delle “pistole” durante i ritiri. Quella dei clan – Chinaglia da un lato, Martini dall’altro – e dei capelli lunghi, dell’irriverenza e di Maestrelli allenatore. Una schiera di eroi: Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D'Amico. Una filastrocca che ogni tifoso laziale ricorda a memoria, e che inizia sempre allo stesso modo: Felice Pulici, numero uno. Di padre in figlio.
CHI ERA FELICE PULICI
Calciatore d’altri tempi, uomo distinto, per tutti "Felix", cattolico di ferro: “Ho letto Le Confessioni di Sant’Agostino e non l’ho più abbandonato”. Ha anche una citazione preferita: “Dov’è il cielo in questo cielo?”. Portiere attento e decisivo, per due anni di fila il meno battuto della Serie A (dal 1972 al 1974): “Costruivo tutto nella mia mente già dalla sera prima, indovinavo cosa sarebbe potuto accadere e spesso andava così".
Come contro il Milan a San Siro, una parata su Rivera gli valse un 10 e lode su tutte le pagelle. Da ragazzo progettava case insieme a suo fratello, aveva un diploma da geometra e il suo primo regalo fu un pallone. Istinto e “follia” lo portano tra i pali: “Imparai a tuffarmi nel corridoio di casa usando i materassi come trampolino”. Felice Pulici sognava, erano gli anni ’60, non immaginava una carriera in Serie A, neanche uno scudetto. Ma sognava: "Ogni volta che giocavo in porta era come se difendessi casa mia".
Controcorrente sempre. Prima tappa a Novara, primi anni e primi tuffi, poi la Lazio quasi all’improvviso: “Me lo disse mio suocero!”. Il 12 maggio del 1974 vince il suo primo e unico Scudetto, lo stesso giorno e nello stesso momento in cui nasce suo figlio Gabriele. Uno scherzo del destino. 150 presenze di fila con la Lazio, 202 tra campionato e coppe, poi l’addio nel ’77 e l’arrivo a Monza. Torna a Roma nel 1981, dopo tre anni all'Ascoli, la squadra si allena sempre a Tor Di Quinto ma è cambiato tutto, è finita in Serie B e Maestrelli non c’è più, scomparso quattro giorni dopo il famoso derby “con le ali”.
NUOVA VITA DOPO IL CALCIO
Pulici resterà legato alla sua Lazio per tutta la vita, prima da responsabile del settore giovanile e infine come dirigente, sotto la presidenza Cragnotti. Laureato in giurisprudenza, specializzato in diritto sportivo, tra il 2005 e il 2006 difese la Lazio nel processo Calciopoli, mentre nel 2005 tentò il grande salto in politica candidandosi alle regionali nella lista di Storace. Sempre nel 2006 lascia i biancocelesti dopo un litigio con Lotito e si reinventa per la terza volta: impara il linguaggio dei segni e inizia a lavorare con la Federazione Italiana Sport Sordi. Nuova vita.
Simone Inzaghi l’ha ricordato a modo suo: “È stato importante per il mio inserimento a Roma”. E per il mondo Lazio, dai giornalisti ai giovani tifosi. Sempre pronto per un’intervista, una chiacchierata, un pensiero sulla squadra. Un semplice caffè per raccontare quella Lazio che sfidò i potenti e vinse. Di liti, pistole e ritiri. Di quel ragazzo che volò sotto l’incrocio grazie alle ali di Maestrelli. Ora potrò farlo con le sue.