“Vede” racconta Massimo Moratti in esclusiva a Gianlucadimarzio.com, “l’idea di diventare presidente dell’Inter nel ‘95 è arrivata proprio da quella sensazione: ti rendi conto che vendi emozioni alle persone. E le emozioni non hanno prezzo. Se mi fossi fermato a valutare sul piano imprenditoriale, che è sempre la cosa più intelligente da fare, avrei aperto un’azienda di calze: mi avrebbe reso di più. Ma con il calcio è diverso: sei il presidente, pensi sempre di fare la mossa giusta. Pensi di aver guadagnato tanto e che i soldi l’anno dopo saranno di più per poter investire: ritieni di fare più abbonamenti, di ottenere uno sponsor più importante, di crescere. Poi puntualmente tutto questo non si realizza ma non è importante: è un dovere nei confronti del pubblico e continui a farlo. C’è anche chi grazie a questo ruolo è diventato popolare e chi adesso fa calcoli più ragionati”. Lui no, lo faceva per passione.
“IBRA CANTANTE LIRICA, INCE, RECOBA, RONALDO E… CANTONA ”
Una passione folle, irrazionale. “Una delle più grandi spinte che mi hanno portato a fare questa enorme stupidaggine (ride, ndr) di entrare nell’Inter fu l’idea di poter trattare due giocatori: Cantona e Ince dal Manchester United. Il secondo è arrivato, con il primo siamo stati vicinissimi: era fantastico, concreto, aveva personalità. Penso che i risultati iniziali della squadra sarebbero stati diversi con lui”. E sì che in due anni era pure arrivata la Coppa Uefa, premio iniziale, stagione 1997/1998, effimera gioia prima di tanti inseguimenti.
Ma di questo si parlerà dopo. Perché il fiume delle emozioni è in piena e i ricordi sono tanti. Sentiti. Sinceri. Dai giocatori agli allenatori, Moratti ne ha conosciuti parecchi ma più che padre dell’Inter, lui era un tifoso. “Non avevo grandi frequentazioni con i giocatori” ammette, “c’erano quelli che mi appassionavano di più, a cui ero legato da un sentimento d’affetto. Magari non erano nemmeno i più forti ma li vivevo come un tifoso: soffri con loro, se sbagliano ci resti male. Proprio Ince era uno di questi: è stato solo due anni con noi ma ero affezionato a lui. Aveva un carattere speciale, era un combattente, coraggioso, persona buonissima. Poi Recoba, che ha avuto il sinistro più bello che io abbia mai visto: mai un gol banale. In generale, mi rendo conto che a volte si tende a confondere quello che era l’affetto con la stima per chi era decisivo: come posso non voler bene a Milito? Per me è stato un mito, ha realizzato qualcosa di incredibile: mi ha fatto vincere”. E Ibrahimovic: “Era speciale, strano, aveva questo atteggiamento da cantante lirica. Si presentava in modo particolare, faceva finta di disprezzare gli altri ma in fondo era un trascinatore. Era simpatico, con me si è sempre comportato molto bene”. Di Ibra ricorda quella rete, un tiro al volo a incrociare da destra verso sinistra, al Torino del gennaio 2007 che considera “una delle più belle nella mia storia di presidente”. Una delle tante, perché nell’Inter della sua gestione la lista di grandi attaccanti è molto ricca.
Ah, poi naturalmente c’era il Fenomeno. “Ronaldo fu l’acquisto che mi presentò al mondo del calcio. Lo facemmo a sorpresa, senza che gli altri se ne accorgessero. Anzi, da quel momento in avanti non ero più il nuovo che bussava alla porta di questo strano ambiente, ma uno da guardare con attenzione. Gli ho sempre voluto molto bene, lui ne ha voluto a me. La mia paura più grande erano i suoi infortuni: abbiamo sempre cercato di preservarlo, non sempre ci siamo riusciti. Purtroppo gli hanno sbagliato tutta la preparazione durante i Mondiali di Francia, con carichi di lavoro eccessive su quelle ginocchia in realtà robustissime. Ma in Coppa Uefa è stato incredibile ed è merito di Simoni. C’era chi diceva che il suo calcio fosse poco organizzato, non sono d’accordo: non era spettacolare ma cercava di sfruttare al massimo proprio Ronaldo. In fin dei conti Gigi, persona splendida, fu colui che riuscì a farlo giocare meglio di tutti”.
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