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L’ultimo dribbling di Modric: Pallone d’Oro, fascino di Annibale

L’infanzia nella guerra, la classe sopra al fisico, il fascino dell’argento vivo: Luka Modric è sul tetto del mondo

Alla fine ce l’ha fatta. Marcato stretto dal decennale duopolio di Ronaldo e Messi da una parte e dalla forza mondiale di Griezmann e Mbappé dall’altra, Luka Modric ne è sgusciato fuori con l’ennesimo dribbling. Il Pallone d’Oro 2018 è suo. A 33 anni, come Cannavaro. Da questa sera e per la prima volta nella storia (Suker nel 1998 arrivò secondo dietro a Zidane), il miglior calciatore dell’anno è croato.

Poco importa se a Mosca ha trionfato la Francia. Modric ha il fascino di Annibale: capitano di una squadra che forse è andata oltre le proprie possibilità, e a cui la storia ha riservato l’onore delle armi, ammirata. Una storia che per il centrocampista nato in un paesino vicino a Zara nel 1985 è stata crudele in origine. La povertà, la guerra, l’assassinio del nonno da parte dell’esercito serbo: a soli 6 anni il piccolo Luka è un profugo.

La famiglia riesce a sistemarsi in città, con il padre che trova lavoro nei pressi dello stadio del NK Zadar. Qui Modric conosce il pallone e Tomislav Basic, responsabile delle giovanili della squadra, conosce Modric. Il ragazzino ha un tocco magico, ma è gracile. Troppo, dicono alcuni. Non Basic, che punta su di lui e lo fa sfondare. “Devo tutto a Tomislav, senza di lui non sarei mai arrivato fin qui”, rivela Luka dopo aver vinto la decima con il Real.

‘Fin qui’. Nel 2002 dallo Zadar passa alla Dinamo Zagabria: domina le giovanili, si fa le ossa in prestito (Mostar e Inter Zapresic), esplode in prima squadra. È il 2005, è la Dinamo di Modric e Mandzukic, l’inizio del mito che si consumerà in Russia tredici anni dopo. Nel mezzo l’ascesa al Tottenham, la consacrazione a Madrid con Ancelotti prima (il miglior allenatore di tutti, secondo Luka) e Zidane poi. Ovunque vada, c’è sempre lo zampino di Vanja Bosnic, moglie inseparabile e agente occulto del campione.

Ovunque vada, Modric disegna calcio: sulle orme di Pirlo, di Xavi e di Iniesta (chissà se farebbe cambio con Don Andrés: meglio gol in finale e Mondiale in tasca, o Pallone d’Oro?). Vince tutto, e soprattutto fa vincere tutti. Forse è per questo che alla fine il calcio gli ha voluto presentare il conto. Dorato e rotondo.

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