A sfogliarli, i numeri, non sembrano apparire neanche così crudeli: 416 partite,107 gol. Un atlante quantomai totalitario di passi sul mondo, capace, da solo, di dire tanto sull’uomo quanto sul calciatore.
La promessa del River, l'arrivo a Barcellona
Maximiliano Gaston López, infatti, è stata l’eterna promessa. Una stella luminosa prima bramata, poi tradita ed infine martoriata, anzitutto, dalla costante voglia di sentirsi a casa senza, di fatto, esserlo mai per davvero.Perché il River ha saputo indubbiamente scovare il talento. Barcellona ne ha cullato le ambizioni, fungendo quasi da oasi per quello che, agli occhi di tutti, doveva irrimediabilmente rappresentare il tanto agognato passo (mancato) alla consacrazione.
In giro per il mondo
Giocare titolare, d’altronde, sarebbe stato impossibile quasi per tutti e la vittoria parigina nel 2006, al fianco di Messi, Puyol e Ronaldinho tra gli altri, sembra essere l’istantanea perfetta, in grado di lasciare quantomeno il retrogusto dolce del tentativo mai totalmente privo di soddisfazione, visti comunque i quattro titoli conquistati. La valigia però, in quel periodo, è sempre piena. Riempita costantemente da promesse con poco seguito, viste le aspettative. Maiorca. FK Mosca. Grêmio. Tre tappe distanti e diverse tra loro ma rese certamente unite da un unico denominatore destinatario che profuma di terra e mare.
Il colpo di fulmine in Sicilia
20 gennaio 2010. Catania. L’età splendente inizia qui. Anzi, no. Perché, pur essendo convinto di sbarcare proprio nella città dell’elefante, Maxi, si ritrova invece dirottato in quel di Taormina, strappato dalle grinfie della Lazio, proprio grazie all’ennesima intuizione targata Pietro Lo Monaco. Ed è proprio all’Olimpico che scatta, per ironia della sorte, il colpo di fulmine. Occorre soltanto un po’ d’astuzia. Un intervento letale in grado d’anticipare André Dias e far breccia, in modo irrimediabile nei cuori rossazzurri.
Il nuovo acquisto agli ordini di mister Mihajilovic è semplicemente un’ira di Dio. Rappresenta a tutti gli effetti il prototipo perfetto del centravanti letale e bello da vedere a livello tecnico. Raffigura, letteralmente, una gallina pronta a trasformare in uova dorate ogni pallone toccato. Le statistiche di quell’annata, poi, parlano chiare: 11 reti totali in sei mesi, molte delle quali decisive. Basti pensare al momentaneo pareggio segnato all’Inter in quella vittoria storica. Alla meravigliosa doppietta nel derby siciliano. O a quella sublime conclusione balistica che, seppur ininfluente ai fini del risultato finale, ha fatto impazzire i presenti all’Armando Picchi di Livorno.
Di nuovo in viaggio
Purtroppo, però, anche stavolta l’idillio volge dopo un po’ al termine. Ma al di là del fugace passaggio al Milan, della chiacchierata avventura ligure e delle successive esperienze, suddivise tra Chievo, Torino, Udinese, Vasco Da Gama, Crotone e Sambenedettese, ci sono due immagini, per descrivere al meglio perché, ancora oggi, quest’uomo rappresenti nel catanese un valore sociale, ancor prima che calcistico.
Il primo frammento non ha una data precisa. Include piuttosto l’unione di due momenti diversi racchiusi in un’unica istantanea. Perché, appena arrivato in tribuna al Massimino, nella sua prima volta allo stadio, Maxi si presta subito al superstizioso rito del “sale grosso”, venendone interamente ricoperto da un tifoso che, ai tempi, faceva evidentemente eccessivo ma sano uso di scaramanzia.
L'idolo di Catania
Il secondo frammento di ricordi, è invece datato 2012 ed anche qui, c’è da fare una premessa. Perché un paio di gare precedenti a quella che sarebbe dovuto essere la sua ultima sfida con lo stemma dell’Elefante, l’argentino è l’ultimo dei suoi a superare i cancelli dello stadio. Sta per tornare a casa ma viene prontamente interrotto dalla voce emozionata di un suo piccolo tifoso in carrozzina. “Maxi, per favore, una foto? Grazie, sei un campione, non mollare mai”.
La risposta, allora, fu tutto un programma. Rivelazione completa del perché si ama questo sport. “Ascoltami, bello, il campione sei tu. Tu e chi come te fa tanti sacrifici per venirmi a vedere, questo per me è soltanto il minimo che io possa fare”.
Nulla da aggiungere, bisogna solo applaudire. Il calcio saluta un grande centravanti. Promettente ma sfortunato. Di sicuro, per sempre nel cuore di chi lo ha capito ed amato. Nonostante tutto.
A cura di Damiano Tucci