Il suo stato WhatsApp è molto semplice: un grande punto interrogativo, un po’ come quando andò a studiare il Barcellona di Guardiola al Camp Nou e, totalmente sconvolto da quanto visto, scrisse sul proprio taccuino: “Qui si impone una riflessione”, Un po’ come il proprio futuro anche. Matteo Cioffi ha solo 42 anni, ma già una storia da raccontare. Quando ne aveva 31 ha iniziato ad allenare le giovanili della Fiorentina, la squadra della sua città. Adesso che il rapporto con i viola si è interrotto attende di sapere dove lo porterà il pallone: “Ho avuto una proposta dalla Federazione iraniana per allenare la Nazionale U23 – ci racconta – ma anche da un college in Inghilterra, che sto prendendo in seria considerazione. Mi piacerebbe fare esperienze all’estero, anche perché per ora in Italia ho chiuso con il settore giovanile”.
Troppo poco interesse da parte di chi i ragazzi, invece, li ha a cuore: “Un giorno mi ruppi il crociato. Giocavo a Grosseto ed ebbi delle complicazioni a causa di una brutta infezione. Rischiai l’amputazione. Dalla società nemmeno una chiamata, un ‘Come stai?’. Fu allora che decisi di restare comunque nel mondo del calcio, ma con competenza. Volevo fare in modo che nessuno si ritrovasse nella mia stessa situazione”.
Il mito di Trapattoni da una parte, la laurea in psicologia del lavoro dall’altra. Compresi i tanti studi nel campo delle neuroscienze, che ha poi messo in pratica con i suoi ragazzi. Fra questi, per esempio, c’è Zaniolo. Mister Cioffi lo allena negli Allievi della Fiorentina: “Non sapeva gestire la sconfitta. Gli veniva sempre mal di stomaco e chiedeva il cambio. La prima volta capitò a Montevarchi, dove stavamo perdendo 2 o 3 a 0 contro una squadra di Serie D. Una cosa normalissima, ma lui mi chiede di uscire. Stesso episodio a Coverciano in un’amichevole contro la Nazionale. Mi arrabbio molto, gli dico che a 17 anni non importa tanto il risultato, quando quello che si è. Ci lavoriamo. La scorsa stagione ero al Franchi quando la Roma ha perso 7-1 contro la Fiorentina in Coppa Italia. Una batosta a quei livelli, però lui ha lottato come un leone dall’inizio alla fine. Che orgoglio”.
Come quando Gianluca Mancini debutta in Serie A. Settembre 2017, Masiello non c’è, Toloi nemmeno. Gasperini guarda la panchina e lo sceglie, proprio contro la sua Fiorentina. Matteo è seduto in Parterre, vicino al campo e in preda alla tensione per il suo allievo che è diventato grande. A fine partita lo chiama con un fischio alla Trap e Mancini – che quei richiami li conosce bene – si gira subito: “Inizia a correre verso di me nonostante la stanchezza. Lo aspetto e mi ricordo di tutte le ore di lavoro individuale fatte insieme sul colpo di testa. Arriva e mi abbraccia, urlandomi: ‘Questo è per te’. Poi mi ha lasciato la maglia. Successivamente anche quella della Nazionale, una bella 13 azzurra”.
Come capire i ragazzi, dirige Matteo Cioffi: “E quest’anno la Fiorentina deve credere in Sottil”. Già, anche Riccardo è passato dalle sue mani. Classe 1999, una velocità e un uno contro uno che potrebbero fare la felicità di Montella: “Giocava nelle giovanili del Torino. Un giorno mi squilla il cellulare mentre sono in macchina, mi dicono che se ne vuole andare da lì. ‘Se è quel Riccardo, faccio inversione e lo vado a prendere io’, dico. Aveva doti grandiose”. Ma anche un carattere da limare: “Con quel ciuffo sembra sempre un po’ abulico, ma in realtà dà l’anima. Gioca il primo torneo con noi ad Arco. All’esordio è devastante. Prende due botte e decido di metterlo in panchina per il secondo match. Gli dico che a breve ricomincia il campionato e che è giusto che giochino un po’ tutti. Non ne vuole sapere di stare fuori, mi dice: ‘Se non gioco è perché non mi fai giocare tu’. Lo rimetto in campo ed è decisivo. Stesso discorso per la terza partita. E’ uno che nei momenti difficili vuole sentirsi le responsabilità addosso”.
Insomma, Matteo è un bravo insegnante. Non è mai sazio, vuole sempre aggiornarsi. Viaggia in continuazione, dall’Italia – dove studia Gasperini, De Zerbi e impazzisce per Allegri – all’Europa, dove guarda Klopp e Bielsa: “E poi mi piace studiare i miti. Li porto sempre ai miei ragazzi, perché dimostrano come si diventa tali anche dopo un percorso di sconfitte dolorose, di sacrifici. Tyson, Baggio, Zanardi, Pantani, Jordan, Muhammad Ali: "Agassi colpiva 2500 palline al giorno; 17500 alla settimana; quasi un milione in un anno. Ai ragazzi faccio vivere il calcio come divertimento, ma anche come passione. Che vuol dire volersi migliorare sempre, essere pure un po’ compulsivi”.