A 36 anni ha detto stop. “Gracias fútbol por siempre”. Dopo 19 stagioni e 14 titoli tra Venezuela, Colombia e Brasile, Alejandro Guerra ha annunciato il proprio ritiro.
Chi è?
Senza mai aver giocato in Europa, Guerra è un’icona del Venezuela, un Paese che rappresenta un’eccezione nel panorama calcistico sudamericano, visto che vede nel baseball lo sport principale.
Trequartista brevilineo, mezzala o esterno dal talento cristallino come il mar dei Caraibi, forgiato nei campetti di terra e sassi di Caracacas, Guerra è il secondo venezuelano nella storia ad aver vinto un trofeo internazionale, dopo Luis Manuel Seijas campione nel 2015 della Copa Sudamericana. Il classe 1985 ha vinto la Libertadores nel 2016 con la maglia verdolaga dell’Atlético Nacional di Medellin contro gli ecuadoriani dell’Independiente del Valle. Ed è stato anche l’unico calciatore vinotinto a segnare un gol al Mondiale per Club.
Cresciuto a Lomas de Urdaneta, un quartiere popolare di Caracas, da bambino aveva così tanti peli sul corpo che i suoi amici lo avevano soprannominato Lobito, ‘piccolo lupo’. Quel soprannome con gli anni è diventato ‘El Lobo’, lupo. In quei campetti polverosi della capitale venezuelana è stato scoperto da Nelson Carrero, colui che sarebbe stato il suo allenatore nella nazionale sub-20. 'Mi dicevo: ‘Se quel bambino controlla la palla in quel modo sulle pietre, mettiamolo su un tavolo da biliardo, che lo farà molto meglio’. Non mi sbagliavo quando ho detto che sarebbe stato un giocatore importante per il nostro Paese. Come calciatore è molto bravo, come persona è straordinario".
Un’infanzia macchiata dalla morte del padre in un incidente, prima di quella del fratello Armando nel 2008, ucciso da un raid della polizia mentre Alejandro si trovava nel ritiro della nazionale venezuelana in Perù. “Sono ostacoli che si trovano sulla strada. Dalla sua morte, prima delle partite prego molto. “Armando, fratelli per sempre”, è il tatuaggio che ho sul braccio destro per portarlo sempre con me", aveva rivelato El Lobo in un’intervista a El Colombiano.
Colombia, delusione e consacrazione
Nel 2003 stava per trasferirsi al Suwon Sansung in Corea del Sud, poi però è rimasto in patria fino al 2014, con una sfortunata parentesi in Serie B argentina, alla Juventud Antoniana. Nel 2006 ha sfiorato la vittoria dei Giochi Centroamericani con la nazionale Sub-20 contro la Colombia di Ospina, Zuniga, Jackson Martinez e Guarin. Fu in quella competizione a Cartagena che lo vide per la prima volta Juan Carlos Osorio, l’allenatore che nel 2014 si ricordò del suo talento e lo portò proprio in Colombia all’Atlético Nacional per la consacrazione fuori dai confini nazionali. Dopo una finale di Copa Sudamericana persa contro il River, Osorio lascia il club di Medellin nel 2016 e al suo posto arriva il Profe Rueda, che riporta l’Atlético sul tetto del Sud America a distanza di 27 anni dall’ultima volta, quando il presidente era Pablo Escobar.
In una squadra in cui giocavano anche Franco Armani, gli ex italiani Miguel Borja e Victor Ibarbo, il venezuelano è stato eletto miglior giocatore del torneo e acclamato con il coro ‘Venezolano, Venezolano’ da tutto l’Atanasio Girardot al momento di alzare la coppa avvolto da una bandiera vinotinto indossata con orgoglio.
Il 2016 è stato l’anno del Lupo, che poi ha continuato a vincere in Brasile, con le maglie di Palmeiras e Bahia, prima di trascorrere gli ultimi mesi in Repubblica Dominicana ai Delfines. E adesso si ritira, quello che resterà una delle icone dello sport venezualano, in grado di regalare un sorriso e rendere orgogliosi i propri connazionali, tormentati da ormai troppi anni da crisi economiche e guerre civili.