Leon Bailey, ambizione e velocità per la Roma
Un talento costruitosi sulle disavventure e le difficoltà, ma trascinato nella sua scalata verso il grande calcio da un’ambizione feroce
Di belle storie il calcio è pieno. Eppure ognuna è diversa e ha il suo perché come quella di Leon Bailey. Nuovo talentuoso attaccante finito nel mirino di Monchi e della Roma, dopo che Malcom ha salutato, facendo dietrofront, poco prima di prendere il volo per la Capitale. Ha solamente 20 anni, è un classe 1997 ma ha la maturità di un adulto. E’ cresciuto in una Giamaica diversa da quella che da lontano ci immaginiamo: niente musica, belle spiagge, rum e bella vita. Ha conosciuto le difficoltà, le restrizioni prima di diventare quello che oggi è considerato uno dei talenti più luminosi del panorama mondiale.
Non è un condottiero, perché un condottiero può esserlo chiunque abbia un po’ di carattere, lui è un velocista. Uno che corre più veloce dei problemi e, una volta giunto al traguardo, li spazza via con la forza dell’ambizione. E’ lei che dà fuoco al suo cuore, che pompa benzina nelle sue gambe e lo spinge oltre i suoi limiti fin da quando era un ragazzino talentuoso, ma pericolosamente accerchiato da un quartiere difficile come quello di Cassava Piece.
La sua fortuna è stata un certo Craig Butler. Il suo papà adottivo, il suo agente. Lo ha visto giocare in mezzo alla strada e lo ha preso con sé all’University of Technology di Kingston (famosa soprattutto per la scuola di atletica che ha formato, fra i tanti, Asafa Powell e Shelly-Ann Fraser-Pryce) dove lo farà giocare per il Papine FC. E lì impressiona per fame, grinta e precocità: a soli 12 anni può vantare già un record unico nel suo genere: la vittoria contemporanea di tre campionati (U13, U15 e U17, con annessi premi come miglior giocatore) e due titoli di capocannoniere (U13 e U15). Fuori categoria.
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Ma a temprarlo è stato un viaggio in Austria. Butler è convinto che il ragazzo abbia le qualità per bruciare le tappe e andare in Europa, sperimentare un calcio più tattico e dare equilibrio ad un talento di strada. L’avventura non va bene, porte in faccia e provini falliti, notti passate a dormire in stazione coperto solamente da una t-shirt e un paio di pantaloncini. L’agente non demorde, non può tornare a casa sconfitto. Gli aprono le porte ad Anif, un paesino di quattromila anime vicino Salisburgo, dove Butler trova posto come osservatore e Bailey segna, in due anni, 75 gol in 16 partite. Non è un errore, è tutto vero. Come è possibile solamente 16 partite? Non ricordate?! Ve lo abbiamo detto che corre veloce. Gli altri giocavano a calcio e lui faceva provini, quando poteva scendeva in campo e disegnava calcio. Personalità, talento, follia: that’s Bailey.
Da lì non è un percorso in salita, perché di difficoltà ne ha dovute superare tante e spesso legate a ragioni contrattuali che non dipendevano dalle sue capacità, ma dalla regolarità dei suoi documenti. Un problema che ad oggi fa strappare i capelli a Bayern Monaco e Ajax che lo hanno rifiutato varie volte. Lui è andato avanti, giocava dove sentiva di poter migliorare e crescere. A credere in lui più di tutti è stato il Genk che gli ha dato equilibrio e fama. E soprattutto, per la prima volta in carriera, lo ha accolto come un vero giocatore. Per questo forse è rimasto legato più al Belgio che alla Giamaica anche se non lo ammetterà mai.
“La mia ambizione è più grande dell’amore per il mio Paese“. Ambizione e velocità di pensiero, eh sì perchè non scordatevi che lui vuole vincere e per farlo è disposto a tutto. Ma è anche un freddo calcolatore: conosce se stesso e i tempi di apprendimento necessari per costruirsi e formarsi. Arrivato al Bayer Leverkusen disse: “Quando arrivai al Genk sapevo che ci sarei rimasto due anni, era il tempo necessario alla mia crescita”.
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Al Bayer Leverkusen inizialmente fa fatica, ma lui corre più veloce dei problemi. Il primo anno salta una gara col Wolfsburg: ufficialmente non è convocato per “attacco influenzale”. Torna in Belgio, a casa. Si ritrova e riparte per la Germania, da lì cambia anche in campo. Meno anarchia e più partite e abnegazione per la squadra, ma senza dimenticare l’ambizione che porta avanti a suon di gol. E lo scorso anno, dopo sacrifici, stenti e difficoltà è riuscito ad incanalare tutto se stesso e a raggiungere lo stadio definitivo della sua evoluzione, quello perfetto: 30 partite, 9 gol e 6 assist. Il premio di miglior esordiente in Bundesliga, la ciliegina sulla torta.
Un vecchio proverbio giamaicano dice: “One, one coco full basket“. Un cocco alla volta, uno sopra l’altro riempie un paniere. Ed è la perfetta metafora della vita di Bailey. Un viaggio, un provino, un problema burocratico alla volta alla fine ha riempito la sua vita rendendolo quello che è oggi. A casa sua ha una stanza dedicata alla sua scalata verso il successo. Lìcustodisce le reliquie delle prime volte. Maglie incorniciate, le figurine di FUT e una foto in cui riceve il premio come miglior giovane belga dell’anno. Però non dimentica le origini, alle quali è legato da un rapporto strano e controverso. Ha maturato la sua ambizione che ora, forse, lo porterà in Italia, alla Roma.