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Makinwa e l’ultima in Champions della Lazio: “Che sogno Madrid”

“Per tanti di noi era soltanto un sogno”. Il calendario segna 11 dicembre 2007 e, con una sconfitta per 3-1, la Lazio sta chiudendo sotto gli occhi degli 80mila del Santiago Bernabéu di Madrid la sua campagna in Champions League. Quasi 13 anni e 4700 giorni dopo quella contro il Real è ancora l’ultima partita dei biancocelesti nella fase a gironi della più importante competizione europea. Lo sarà fino a martedì sera, quando la squadra di Inzaghi esordirà nel girone F contro il Borussia Dortmund.


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È l'82esimo. L’unico sorriso a Delio Rossi lo ha regalato Goran Pandev, lo stesso 37enne che ancora oggi si diverte con il Genoa. Il macedone, nell’azione del gol, si è fatto anche male. Al suo posto per gli ultimi minuti di gara entra Stephen Makinwa, che di quella Champions League giocò quattro partite su sei: “Goran è un amico, un giocatore e una persona eccezionale. Quella notte, come all'andata, ci sarebbe piaciuto strappare almeno un pareggio”, racconta a gianlucadimarzio.com.

L’attaccante nigeriano, da diversi anni, non gioca più. Colpa di un grave problema alla cartilagine del ginocchio che si porta dietro da sempre: “I dottori mi chiedevano ‘Ma come fai anche solo ad allenarti?’. Per me, soprattutto alla Lazio, fu davvero difficile competere con tanti giocatori forti. Mi sono dovuto fermare tante volte, ho trascinato questo problema per diversi anni poi non ce l’ho fatta più”. A 37 anni il presente è da procuratore sportivo: “Ho iniziato grazie all’ex Milan Primavera Ezekiel Henty. E oggi con me c’è anche il mio ex compagno Onazi”.

Sogni di Champions

Alla Lazio Makinwa arriva nel 2006. Lo vuole Delio Rossi che lo ha avuto con lui per alcuni mesi all’Atalanta. 17 presenze e 7 gol: nonostante la retrocessione, quell’attaccante rapido e dal passo felpato diventa per tutti ‘Sindaco’: “Molti non sapevano del mio grave problema al ginocchio, e negli anni ho ricevuto anche tanti fischi che non fanno mai piacere. Fa parte del calcio e della vita. All’Atalanta invece fu tutto diverso, giocavo bene ed ero l’idolo dei tifosi”.

Dopo il bronzo in Coppa D’Africa con la Nigeria, a marzo 2007 è anche un suo gran gol in casa della Reggina (2-3) a lanciare la Lazio verso la Champions League. Rocchi-Pandev è la coppia offensiva di quella squadra, subito dietro c’è il ragazzo di Lagos. Un pareggio in Grecia contro l’Olympiakos, un altro prestigiosissimo contro il Real Madrid, poi una sola vittoria contro il Werder Brema. L’avventura biancoceleste dura sei partite: “Eravamo molto carichi, non c’è competizione più bella da giocare. Ai gironi facemmo alcune buone prestazioni, altre meno. C’era grande entusiasmo tra i tifosi, e anche se non siamo andati oltre abbiamo dato tutto quello che avevamo. Il rimpianto maggiore fu la sconfitta in casa contro l’Olympiakos, potevamo fare qualcosa in più”.


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Tredici anni più tardi le prospettive sono diverse: “La Lazio è cresciuta tanto. La scorsa stagione prima del lockdown ha fatto benissimo, poi per tanti motivi non ha ottenuto i risultati che ci si aspettava. Può andare più avanti rispetto al 2007 e tiferò affinché ci riesca”. Dietro i traguardi il lavoro di due ex compagni d’attacco, Inzaghi e Tare: “Simone era già un appassionato di calcio, sapeva tutto di tutto. Non potevamo aspettarci facesse subito così bene, ma già in Primavera aveva ottenuto ottimi risultati. Anche Igli ha fatto molto bene, non è facile e bisogna dargli merito”.

From the ground

Dai campi di terra alla Champions League: il percorso di Makinwa è stato tutt’altro che lineare. A 2 anni perde il papà e da bambino sogna di studiare ingegneria come farà il fratello Akinola. Intanto inizia a giocare in Nigeria con l’Ebedei, lì lo scopre Michele Dal Cin (LA STORIA) che nel 2000 lo porta alla Reggiana: “Per me era tutto nuovo, ricordo ancora l’entusiasmo. Giocavo sui campi di terra e non venivano a vederci neanche i genitori. In Italia invece c’erano tantissime famiglie a fare il tifo anche nei campionati giovanili, mi colpì quella passione e capii come fosse tutto più serio”. Dall’Africa arrivarono in quattro: “C’era anche Obafemi Martins”. All’Inter, nel 2005, dopo esser cresciuti insieme stavano per ritrovarsi: “Avevo già firmato un accordo, ma dovevano liberarsi di un giocatore e io non avevo voglia di aspettare troppo, così andai al Palermo”.


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Le loro capriole sui campi della Serie A restano tuttora impresse nella mente di molti italiani: “Ho imparato da piccolo per strada. In Africa è un gioco e mi veniva naturale esultare così”. I medici, in realtà, glielo sconsigliarono: “Andavo in ritiro, mi allenavo due giorni e al terzo non riuscivo più ad allenarmi perché mi si gonfiava il ginocchio. Da quando ho smesso non sono più riuscito a giocare, il calcio mi manca”.

La carriera l’ha chiusa nel 2015 in Slovenia dopo undici maglie vestite in Italia e un’esperienza in Cina a Pechino. Non solo alla Lazio, anche a Larissa finì fuori rosa: “La squadra partì male e il presidente decise di tagliare gli stipendi più alti, così mi rivolsi alla Fifa”. Oggi vive ancora vicino Formello, dove di recente ha fatto visita a Simone Inzaghi. Martedì sera sarà un tifoso in più, tredici anni dopo.