Ama(uri) o non ama(uri)? Giocherà ancora o smetterà? “Vorrei fare l’ultima stagione in Italia, oppure giocare in MLS. E comunque vada, andrò a vivere almeno un anno negli States. Con la mia famiglia”. E’ il sogno americano di un brasiliano che si sente italiano. E vive a Torino, dove ha chiuso in anticipo la sua avventura granata. Subito dopo il mercato, risoluzione del contratto e via. “Ho 35 anni, non me la prendo più. La cosa che mi è dispiaciuta è aver lasciato i miei compagni. Con loro stavo bene, non ho mai creato un problema anche se non giocavo mai. Polemiche zero. Ecco perché posso parlarne a testa (e voce) alta”. E allora perché è finita così? “Ero il quinto attaccante, il venticinquesimo della lista. Avevo offerte in B, ma non me la sentivo. Poi hanno iniziato a farmi allenare a parte, ne ho parlato prima a Milano con Cairo e poi con Gianluca Petrachi: ho capito che era meglio togliere il disturbo”. Una valigia piena di gol, una settimana diversa dalle solite. Lui, Amauri il disoccupato, come passa le giornate? “Mi alleno da solo, corro. Faccio Thai Boxe e Crossfit, mi dedico ai miei amori. I figli studiano, io vivo bene, l’ho presa meglio di come pensassi. Guardo le partite sì, ma senza ossessioni. Se gioca il Napoli, lo vedo volentieri”. La voce al telefono si fa emozionata, non riesco ad interromperlo. “Sai perché? Ripenso al primo gol in serie A, era un Napoli-Verona: entro e dopo tre minuti mi cambia la vita. Nessuno mi ha regalato niente, giuro. Correre e sudare, sudare e correre”.
Era arrivato dal Brasile, via Bellinzona. Ma in Brasile adesso non tornerebbe a giocare. “Perché, dove sono nato, voglio essere sempre uno sconosciuto. Ecco perché ho detto no al Vasco e ad altri club che mi avevano cercato. Non voglio essere famoso lì, non mi interessa. Anzi, ti dico di più”. Prego: “Sai cosa voglio fare da grande? Il procuratore di giovani sconosciuti. Per farli diventare grandi, farli emergere, come capitato a me. Regalare un sogno a tanti ragazzi, ecco il mio prossimo gol”. Gli stringerei la mano, via telefono. Resto in silenzio anche io qualche secondo, le sue parole mi hanno colpito. Poi riparto, sfogliando l’album dei ricordi. Partiamo: Buffon? “Superman. Quando sono andato via dalla Juve, è stato il primo che ho salutato. Un onore aver giocato con lui, ecco cosa gli ho detto. Se si impegnava, era difficile fargli gol anche in allenamento”. I momenti più belli? “L’Europa conquistata -e purtroppo non giocata- con il Parma, l’aver indossato la maglia rosanero, i preliminari di Champions con il Chievo, il traguardo della grande squadra Juve dopo 8 anni girando l’Italia, infine la Nazionale”. Azzurra. Con Prandelli. Oriundo come ce ne sono molti adesso. “Lo trovo giusto, l’importante è amarla. E sono convinto che questa Italia farà bene, mi piace soprattutto Insigne”. E tra Belotti e Immobile, chi porterebbe se fosse Conte? “Ciro lo conosco dalla Primavera della Juve, Belo è forte. Entrambi dai, altrimenti sai gli sms di offese…” Risate, poi rieccolo senza fermarsi un attimo, come quando in campo rincorreva i difensori. “Uno lo porterei sicuro sicuro: si chiama Benassi, centrocampista del Toro. Gliel’ho pronosticato, arriverà sicuro”. E già pensa e parla da agente del futuro. Avrà imparato da Pocetta, il suo manager. Non fa il diplomatico però quando gli chiedo il pronostico-Scudetto, da doppio ex. “La Juve ha un organico stratosferico, il Napoli ha un bel gioco più Higuain, l’attaccante più forte del mondo. Per me. Come finirà? Spero e mi auguro che siano proprio gli azzurri a coronare il loro sogno”. In attesa che lui realizzi il suo: auguri Ama, non solo di buona Pasqua.